“Alessandro D’Alatri: il mio cinema” di I. Senatore – Introduzione e 4 di Copertina – Falsopiano Edizioni 2015-

30 Marzo 2015 | Di Ignazio Senatore
“Alessandro D’Alatri: il mio cinema” di I. Senatore – Introduzione e 4 di Copertina – Falsopiano Edizioni 2015-
Volumi di Ignazio Senatore: Volumi- Intervista a registi, attori, attrici con schede film e commento critico
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 INTRODUZIONE

Ci sono dei film che perforano superfici, bucano tessuti e si annidano sottopelle, diventando, indissolubilmente, una parte di te. Senza pelle è  uno di questi. Ricordo ancora oggi, in maniera vivida, come in sala, fui rapito dallo sguardo perso nel vuoto di Kim Rossi Stuart, da quel suo aspirare, in maniera nervosa e frenetica, una sigaretta dietro l’altra, con quella gestualità tipica dei pazienti schizofrenici che, per anni, ho osservato, nel corso della mia lunga pratica professionale. Senza pelle mi colpì talmente che l’anno successivo, quando Kim Rossi Stuart venne in tournèe a Napoli con la sua compagnia teatrale per mettere in scena l’Amleto di Shakespeare, spinto dall’incoscienza e da un pizzico di sfrontatezza, gli proposi di partecipare alla proiezione del film che avevo programmato, proprio in quei giorni, nell’Aula Magna dell’Università “Federico II” di Napoli. Kim non se lo fece ripetere due volte e, confermando la sua sensibilità umana e professionale, accettò l’invito. Ricordo che andai a prenderlo con la mia scassatissima Fiat 500 e, durante il percorso, dopo aver parlato un po’ del più e del meno, fu Kim a chiedermi del mio lavoro. Gli accennai ad una paziente, sua fan (al tempo Kim era reduce dall’incredibile successo di pubblico della serie televisiva Fantaghirò) che avevo ricoverato recentemente per un tentativo suicidario. Partecipe ed attentissimo, continuò, con molta discrezione, a farmi mille domande su di lei. Mentre guidavo, descrissi a grandi linee i suoi tormenti e, con la coda dell’occhio, vedevo che Kim, con una penna, scribacchiava qualcosa sul suo cappellino. Giunto all’Università, mi diede il cappellino su cui aveva scritto: “Non mollare, stringi i denti. Kim” mi disse: “mi farebbe piacere se lo dessi alla ragazza di cui mi hai parlato. So che, forse, non servirà, ma…” Quel gesto semplice, assolutamente spontaneo e generoso, me lo porterò dentro per sempre e rafforzò, ancora di più, il mio legame a Senza pelle. Passarono gli anni ed incrociai Alessandro D’Alatri ad un evento cinematografico a Napoli.  Alessandro doveva ritornare di corsa in treno a Roma  e scambiammo al volo quattro chiacchiere. La sua carica di simpatia mi colpì talmente che, dopo aver scambiati i numeri telefonici, ci promettemmo che ci saremmo risentiti. Lo chiamai qualche tempo dopo e gli proposi di presiedere la giuria de “I corti sul lettino Cinema e psicoanalisi”, il concorso di cortometraggi, da me ideato alcuni anni fa.  Per due anni di seguito Alessandro, pur dichiarandosi entusiasta dell’idea, dovette declinare l’invito, per improrogabili impegni di lavoro all’estero. Sancimmo però un patto: al ritorno in Italia ci saremo incontrati, avremmo dato vita, a questo progetto editoriale e lui avrebbe presieduto, quest’anno, il 2 settembre la giuria. Ho incontrato Alessandro a casa sua a Roma, un paio di volte. Gentile, premuroso, ospitale, abbiamo chiacchierato, a ruota libera, senza schemi fissi o domande prestabilite, intorno al suo cinema. Sereno, pacato, sorridente, Alessandro non si è mai messo sulla difensiva ma, accettando con molta elasticità, le eventuali critiche e gli appunti relativi ai suoi film, nel rispondermi, si è lasciato guidare più dal cuore che dalla ragione. Alessandro mi ha colpito, non solo per la sua schietta onestà intellettuale, ma sopratutto per la sua disarmante capacità di lottare contro tutto e tutti. Nel corso delle piacevolissime conversazioni, sono emerse le immancabili difficoltà cui va incontro un regista per poter dirigere un film, gli inevitabili scontri con i produttori, pavidi e codardi, che non hanno voglia di rischiare e sono disponibili solo a finanziare incolori e stupide commedie commerciali.  In tutti questi anni Alessandro non si è mai abbattuto, non ha mai mollato, anche quando i produttori, si sono rifiutati di finanziare alcuni dei suoi film. Eppure, pochi registi italiani possono annoverare, come Alessandro una messe di premi come regista pubblicitario, un esordio alla regia sul grande schermo, premiato con un David di Donatello, un secondo film che, solo per un soffio, non ha rappresentato l’Italia agli Oscar come miglior film straniero, candidature ai Nastri d’Argento come miglior regia e miglior soggetto. Coraggioso e combattivo D’Alatri ha dovuto impegnarsi più volte per imporre e difendere le sue felici intuizioni che l’hanno portato a lanciare sul grande schermo dei personaggi televisivi di successo come Fabio Volo e Paolo Bonolis, dei musicisti come Moni Ovadia, Elisa ed i Negramaro.  Nel corso delle chiacchierate, nonostante gli ostacoli incontrati, ho apprezzato il suo tono mai polemico o astioso nei confronti di chi non ha poi mantenuto le promesse date o gli ha messo i bastoni tra le ruote. Tra le tante immagini per descriverlo, ho pensato di prendere a prestito  un’affermazione di Joseph Von Stenberg:  “Che cos’è più importante per un regista? La domanda ritorna spesso e, prima di aver imparato che non ne vale va la pena di farsene troppe, ho chiesto a Marshall Neilan, uno dei più prestigiosi registi degli anni Venti, cos’era fondamentale per la regia. Senza esitare un solo istante mi rispose:Trovare qualcuno che te la lasci fare.”

“Quando l’attore ero io, la cosa che mi faceva più soffrire era non avere indicazioni precise dalla regia, cosa che nel cinema italiano è stata frequente per parecchio tempo. Prima di iniziare le riprese e far leggere la sceneggiatura all’attore, gli parlo personalmente del film e gli racconto tutte le relazioni ed i sottotesti, i sub plot che ci sono e come ci sono arrivato a scrivere certe scene o stati d’animo. Gli attori sono assetati di queste cose. Leggono il copione e subito dopo comincio con loro un lavoro sul sottotesto, non sul testo. La cosa che mi piace capire è quanto l’attore  ha catturato quel personaggio e quanto l’ha fatto diventare una parte  di sé.” (Dalla quarta di copertina).

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