Ignazio Senatore intervista Umberto Galimberti

18 Gennaio 2014 | Di Ignazio Senatore
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“La tecnica non è più uno strumento nelle mani dell’uomo ma è diventato il vero soggetto della Storia e l’uomo, un funzionario di questo apparato. La tecnica va avanti indipendente o meno dalla volontà dell’uomo. La tecnica è la forma colta della razionalità, è l’essenza dell’uomo. Le macchine realizzano solo un oggettivazione del sapere che oltrepassa la competenza di ciascuno di noi.”

Chi parla è Umberto Galimberti. Il noto psicoanalista junghiano, filosofo, giornalista e scrittore sarà presente oggi alle 15.30 presso la sede della “Scuola sperimentale per la formazione alla psicoterapia ed alla ricerca nel campo delle scienze umane applicate”, nell’ex Ospedale Frullone e terrà una lezione sul tema “Psiche e Techne”.

Il titolo dato al suo intervento richiama inevitabilmente un suo volume omonimo, pubblicato per la Feltrinelli la prima volta nel 1999 e rieditato più volte, nell’arco di questi anni anche in edizione economica. Galimberti ama discettare sulla complessità del pensiero umano e le sue dotte riflessioni lambiscono campi del sapere, apparentemente, diversi e difformi tra loro. Come è sua abitudine va diritto al cuore delle cose e senza mezzi termini ci fornisce un’analisi lucida, spietata e senza vie d’uscite su quale sarà il destino dell’uomo.

Ai giorni d’oggi può capitare che un biologo molecolare prosegua per venti anni i suoi studi senza nemmeno ipotizzare quale siano le finalità. L’imperativo che regna ai nostri tempi è fare, anche se non si conosce il progetto, lo scopo.

Crollato il comunismo e tutte le altre ideologie “forti” che avevano caratterizzato il Novecento, offuscato il mito della psicoanalisi, il cognitivismo sta sbancando in tutto il mondo, fino a diventare (purtroppo) il modello imperante. Galimberti sembra anche lui adombrato per la diffusione di questo nuovo “flagello”, per l’espansione dissennata di questa “tecnica” divenuta la “peste” del nuovo Millennio.

L’umanesimo è finito e ci muoviamo in un orizzonte tecnico senza nessuno scopo. Se la psicoanalisi era, nel suo complesso, una tecnica antropologica che si basava sui vissuti, sul passato, sui ricordi dell’uomo, per il modello cognitivo l’uomo deve essere un applicatore di un dispositivo tecnico. Il successo del cognitivo è il successo dell’adattamento e suggerisce un modello meccanico della mente.”

Ma la psicoanalisi è davvero da mandare in soffitta? Galimberti non è di questo avviso ed infatti rilancia.

Il mio prossimo volume approfondirà per l’appunto le molteplici connessioni esistenti tra la filosofia e la psicoanalisi. A mio avviso gli strumenti filosofici sono più potenti di quelli psicoanalitici. Un esempio? Ai giorni d’oggi la metafora sessuale non è più significativa come ai tempi di Freud.” 

Ma alcuni psicoterapeuti di fronte a questo progetto già storcono il naso. Generalmente le Scuole di Specializzazione si rifanno a dei modelli della mente (psicoanalisi, terapia familiare, gestalt, analisi transazionale) riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Questa Scuola nasce, invece, dalle ceneri di una Scuola (antropologica-trasformazionale) fondata dalla fulgida mente di Sergio Piro ma rimasta confinata negli angusti confini regionali. Ma le ombre non finiscono qui. Il “garante scientifico” di questa Scuola è il Prof Mario Maj, ordinario di Clinica Psichiatrica del Secondo Ateneo e di gran lunga lo psichiatra più prestigioso che abbiamo in Italia. Ma c’è un problema. Mario Maj deve la sua fama internazionale ai suoi studi orientati in senso biologico e farmacologico ed il suo principale modello di riferimento non è certamente la psicoterapia. Operazione più politica che scientifica? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

L’Articolo- Redazione napoletana del “L’Unità” – 09-10-2004

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