Martin (Hugo Weaving) è un ragazzo cieco dalla nascita con un’insana passione per la fotografia. All’età di dieci anni aveva chiesto alla madre la prima macchina fotografica e scattare istantanee, con una polaroid, è diventato per lui l’unico contatto che lo tiene legato alla realtà. Dopo aver catalogato le foto, chiede alle persone di cui si fida di descriverle accuratamente. Una sera, dopo aver cenato in un ristorante, Martin provoca involontariamente un piccolo incidente che coinvolge un gatto e in compagnia di Andy (Russell Crowe), un cameriere, lo porta da un veterinario per le cure del caso. Nella sala d’attesa Martin scatta un paio di foto e dopo averle mostrate ad Andy, gli chiede di descriverle a una a una utilizzando al massimo dieci parole: “Io mi trovavo in quella sala d’attesa e probabilmente so più cose su quella sala d’attesa di quanto sappia tu. Io, ad esempio, so che c’erano una o due lampade fluorescenti perché fanno un rumore particolare. La lampada proprio sopra di noi era guasta perché si accendeva e si spegneva a intermittenza. So che il pavimento era ricoperto da un vecchio e consunto linoleum; l’ho sentito sotto le scarpe. Posso dirti che c’era una donna con i tacchi alti che portava un profumo costoso. Sentivo anche un odore di disinfettante e di animali malati e il tuo odore, un misto di detersivo, fritto e aglio. Ma la foto è la prova che ciò che ho sentito e ciò che hai visto con i tuoi occhi, è la verità”. Martin e Andy diventano amici, ma Celia (Genevieve Picot) una donna perfida, perversa e segretamente innamorata di Martin, si frappone tra i due. Dopo una serie di piccole incomprensioni Martin e Andy rinsalderanno la loro amicizia.
Pellicola deliziosa che affascina per la melanconica e struggente storia del protagonista. La regista usa il flashback con il contagocce, ma ci regala due incursioni nel passato di Martin che ci svelano le radici dove affondano le sue ossessioni. Quando era piccolo sua madre era solita raccontargli quello che accadeva nel mondo esterno, ma Martin, certo di essere odiato per il suo handicap, era convinto che lei gli mentisse. La donna era poi morta in circostanze misteriose e il piccolo Martin, divenuto ancor più diffidente, aveva ipotizzato che lei l’avesse abbandonato. Nell’ultima scena del film Martin chiede a Andy di descrivere una foto che aveva scattato quando la madre era ancora al suo fianco e si convince che lei non gli aveva mai mentito.
Il film è girato con estrema grazia e delicatezza e non scade mai nel bieco e stucchevole sentimentalismo. Martin ha dignità da vendere e Celia, per la cinica capacità di far soffrire Martin, colpevole solo di non voler ricambiare il suo amore, è una creatura che sembra uscita diritta dall’inferno. Moorhouse stempera la tensione con gustose trovate, come testimonia questa divertente sequenza: Martin e Andy sono aggrediti da alcuni teppisti mentre sono in un drive-in; nella fuga precipitosa Martin, che si trova per caso alla guida dell’auto, tampona un’auto della polizia e per cercare di impietosire gli agenti finge di essere diventato cieco a seguito dell’urto. Trasportato di corsa al pronto soccorso, la dottoressa lo smaschera dicendogli di essere a conoscenza che lui è cieco dalla nascita e poi gli chiede come mai fosse alla guida dell’auto. La risposta di Martin? “Me ne ero dimenticato”.
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