La famiglia Savage (The Savages) di Tamara Jenkins – USA – 2007 – Durata 113’

9 Gennaio 2021 | Di Ignazio Senatore
La famiglia Savage  (The Savages) di Tamara Jenkins – USA – 2007 – Durata 113’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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La trentanovenne Wendy Savage (Laura Linney) aspirante drammaturga, frustata ed insoddisfatta,  vive a New York ed ha una spenta love-story con Larry (Peter Friedman), un vicino di casa, sposato e più vecchio di lei. Suo fratello Jon (Philip Seymour Hoffman) insegna letteratura all’università di Buffalo ma non se la passa meglio; dovrebbe terminare da tempo un saggio su Bertold Brecht ed ha una incerta relazione con una ragazza polacca costretta a lasciare gli Stati Uniti per motivi di visto e che potrebbe rimanere al suo fianco, se la sposasse. Le condizioni cliniche di Lenny Savage (Philip Bosco), il loro anziano genitore, affetto da un’avanzata forma di demenza senile, peggiorano sempre più. Wendy e Jon non lo vedono da anni, volano a Sun City in Arizona e, dopo aver vagliato alcune ipotesi, lo ricoverano in un ospizio non molto lontano da casa di Jon. Wendy decide di rimanere qualche giorno ospite del fratello ed è per entrambi l’occasione di guardarsi dentro, per ripianare vecchi rancori e confidarsi fallimenti e debolezze. Alla morte del padre Jon trova la forza di partire per la Polonia e per riallacciare la relazione con la fidanzata e Wendy di mettere in scena un lavoro teatrale.

Con questo piccolo film indipendente la regista fa centro e, senza scadere nella retorica e nel convenzionale, narra la vicenda di un fratello e di una sorella, immersi nelle loro misere e quotidiane preoccupazioni e,  grazie alla malattia del padre, fanno i conti con i fantasmi del loro passato, rivitalizzando così le loro grigie esistenze. La notizia della malattia del padre, un uomo che molti anni prima aveva piantato le tende in un’altra città, destabilizza Wendy che, senza rancore, ad un infermiere dell’ospizio confida le macerie familiari nella quale è cresciuta: “Mia madre si è dimessa dal ruolo parentela abbastanza presto. Come madre non è stata un granché, neanche mio padre c’è molto tagliato.” Sin dalle prime battute si intuisce che Wendy ha un incontenibile desiderio di confrontarsi con Jon che ben presto spegne il suo entusiasmo e, dopo aver glissato le sue domande, le risponde: ”Non siamo in un dramma di Sam Shepard”, “Non siamo in psicoterapia”.  Testarda e cocciuta, Wendy frequenta insieme a Jon un gruppo di auto-aiuto per familiari di pazienti affetti da demenza senile dove s’imbattono in una conduttrice che informa i partecipanti sull’utilizzo di alcune tecniche per attivare le funzioni cerebrali dei loro cari,  li invita a parlare dei tempi andati con i loro anziani familiari, a mostrare album di foto, i filmini amatoriali di famiglia ed a proiettare qualche pellicola della loro epoca. “Abbiamo fatto quello che abbiamo fatto. Gli stiamo dando di più di quello che lui ha dato a noi” puntualizza  Jon alla sorella nel corso del film, che annuisce e gli risponde con un laconico: “Lo so”. Ma Wendy è ancora divorata dai sensi di colpa e prova a far ricoverare il padre in un ospizio più accogliente e confortevole. Ma l’anziano genitore non è autosufficiente ed avendo risposto in maniera incongrua ad alcune domande, non può essere ospitato. In questa commedia agro- dolce Jenkins mescola ironia a melanconia e, senza scadere nel bieco sentimentalismo, lascia la figura del vecchio Lenny sullo sfondo e lo descrive come un vecchietto instabile emotivamente, irascibile e capriccioso ma tenero e disarmante. Da segnalare una citazione al mitico Il cantante di jazz.  Due nomination Oscar .

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