“La giornata” corto di PIppo Mezzapesa

6 Agosto 2024 | Di Ignazio Senatore
“La giornata” corto di PIppo Mezzapesa
Senatore giornalista
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Paola Clemente, bracciante pugliese di quarantanove anni, morì di fatica, sotto il sole, il 13 luglio del 2015.

Pippo Mezzapesa, talentuoso regista pugliese, ha voluto raccontare la sua tragica storia nel poetico cortometraggio “La giornata”.

Con un linguaggio scarno, ma visivamente potente, Mezzapesa sposa il taglio documentaristico e lascia che le note del brano “Respiro” di Franco Simone accompagnino, in apertura, le immagini della donna che, alle prime luci dell’alba, saluta il marito, prima di salire sul pullman dove, assieme ad altre braccianti, raggiungerà la campagna.

Grazie alla scelta stilistica dell’interpellazione, Mezzapesa lascia che i personaggi della vicenda, sguardo in macchina, si raccontino. Il marito ricorda il suo sgomento per averla salutata e rivista poi, all’obitorio, assieme ai figli, in una cassa da morto.

Paola, sguardo nel vuoto, senza salutare nessuno, si siede in fondo al pullman. “Aveva la faccia strana”, riferisce una bracciante. Un’altra, le dice: “Se non ti senti bene, fatti scendere qua”. E aggiunge: “Ma non voleva perdere la giornata, perché al caporale se gli dici che non lavori, quello non ti chiama più.” Le fa eco un’altra bracciante: “Cinque ore di pullman ad andare e venire, senza avere i contributi e per due euro l’ora.”

Durante il tragitto in pullman, Paola inizia a sudare. “Si vedeva che non stava bene”, commentano, in coro, le altre donne. Giunti in campagna, il caporale, sprezzante, si rivolge a Paola e le dice: “Siediti là, vedi che ti passa.” Paola sviene.

Il caporale non chiama i soccorsi e, solo dopo mezz’ora, telefonano al marito. Paola muore sotto gli occhi increduli delle colleghe. Nei titoli di coda, sulle note dello straziante “U lamentu de Ghiesu” di Savina Yannatou, il regista ricorda come la morte di Paola Clemente abbia spinto il Parlamento a varare la 199, una nuova legge contro lo sfruttamento del lavoro.

Un corto, in nomination ai David e ai Globi, premiato con il Nastro d’argento, che rimanda, inevitabilmente, alla recente morte di Satnam Singh. Di nazionalità indiana, il bracciante indiano lavorava per quattro spiccioli, senza un contratto regolare e in condizioni disumane, in un’azienda agricola, a Borgo Santa Maria, nelle campagne della provincia di Latina.

Il suo braccio destro fu tranciato da un macchinario avvolgiplastica e le sue gambe lacerate. Come è emerso dalle indagini, Lovato, il titolare dell’azienda, invece, di chiamare un’autoambulanza e soccorrerlo, lasciò su una cassetta di frutta il braccio amputato di Singh e scaricò il bracciante davanti alla sua abitazione.

Solo allora, la moglie di Singh, che lavorava nella stessa azienda agricola, ebbe la possibilità di chiamare i soccorsi. Giunto all’Ospedale San Camillo di Roma, in gravissime condizioni, Singh poi morì.

Una vicenda tragica e raccapricciante, che fa riesplodere, inevitabilmente, ancora una volta l’attenzione sugli orrori del capolarato e l’ignobile sfruttamento dei lavoratori.

Articolo pubblicato sulla Rivista Il Coraca . Agosto 2024

 

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