La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone di Pupi Avati – Italia – 1975

25 Dicembre 2023 | Di Ignazio Senatore

Bagnocavallo. In una saletta, alla presenza di un alto prelato, è mostrato un filmino che narra la storia del miracoloso fico fiorone.

Nel 726 dei soldati di Liutprando invadono la cittadina di Bagnocavallo e la vergine Gerolama Pellacani si offre ai barbari, ai piedi di un fico fiorone, in cambio della salvezza delle altre fanciulle.

Al mattino Gerolama decide di non scendere più a terra e, salita sull’albero, da quel giorno in poi si nutre solo dei suoi frutti e di acque piovane.

Nove mesi dopo dà alla luce un neonato. Da allora il fico divenne oggetto di culto e nel 1192 Matilde da Altavilla, affetta da un’incurabile forma di elefantiasi alle orecchie, guarì grazie al fico fiorone.

Riconosciuto dalla Chiesa, come miracoloso, prima delle Olimpiadi, Anteo Pellacani, proprietario del frutteto, giovane e promettente maratoneta, sale sul fico, ma, per la rottura di un ramo, riporta delle fratture e la riduzione di dieci centimetri dell’arto inferiore, rimanendo così zoppo e soprannominato, da quel momento in poi “gambina maledetta”.

Anni dopo, per la morte del nonno, lo stesso Anteo Pellacani (Ugo Tognazzi), eredita la tenuta e ritorna molti anni dopo a Bagnocavallo, gettando nel panico il parroco Don Arioso (Giulio Pizzirani), il brigadiere Caputo (Gianfranco Barra) e i concittadini.

Anteo, infatti, burbero e prepotente, è un miscredente, contrario a ogni forma di misticismo e di religione, ed é deciso a distruggere il fico fiorone.

Eugenia Pellacani Bompani (Patrizia De Clara), la cugina, spinta dalle altre due sorelle, bruttine come lei, in paese, con la complicità di Don Arioso, fa una corte spietata ad Anteo, convinta che la sposerà. Anteo prova a distruggere il fico in vari modi, ma non ci riesce.

Intanto in paese s’aggira con la sua pacchiana roulotte Checco Coniglio (Paolo Villaggio), venditore di gadget erotici e protettore di due prostitute; Silvana (Lucienne Camille), nera e di un’altra incinta (Delia Boccardo).

La leggenda vuole che a mezzanotte del 24 agosto, di ogni cento anni, la santa appaia sul fico fiorone e la prostituta incinta, ignara  di quella credenza popolare, sale sull’albero per mangiare dei fichi.

Anteo la vede, la scambia per Gerolama ed ha una conversione mistica. Divenuto credente e, sperando nel perdono della santa, le confida di essere un peccatore e di non aver mai fatto l’amore con una donna.

Checco Coniglio, fiuta l’affare e, speculando sulla buona fede di Anteo, gli fa credere che sarà mondato dei propri peccati, se gli versa dei soldi per costruire un convento dal nome “le suore del fico”.

Anteo vende tutto i suoi beni, tranne il fico e il frutteto, e continua ogni sera a parlare con la “santa”. Lei però deve seguire Checco Coniglio che, con i soldi di Anteo, allestisce poi una casa di piacere a Vigevano.

Ormai impazzito, Anteo attende, invano, ogni sera l’apparizione della santa. Arriva l’inverno e la prostituta, morsa dai sensi di colpa, abbandona Checco e si rivolge al brigadiere Caputo e gli svela la truffa.

Ritorna poi nel frutteto e appare nuovamente ad Anteo. Ha le doglie e muore, dopo aver partorito un neonato, che Anteo raccoglie e, tenendolo in braccio, vaga come un folle per strada. Intanto l’eco dell’ennesimo “miracolo” si già si è diffuso nella cittadina.

Dopo due clamorosi insuccessi al botteghino, Avati fa centro con questa favola poetica e visionaria, assolutamente originale, sin dal bizzarro titolo del film, rispetto al panorama cinematografico italiano dell’epoca.

 

Mescolando ad arte, sacro e profano, sante e prostitute, dramma e comicità, il regista bolognese ci trasporta nel suo mondo, lo condisce con il dialetto romagnolo e le mazurke e non risparmia critiche alle istituzioni religiose e alle cittadine di provincia corrose da invidie e gelosie.

Per la prima e unica volta nei suoi film, per caratterizzare ancora più i personaggi, Avati adotta un linguaggio più libero e, a tratti, comicamente scurrile.

Ad avvolgere il clima in un’atmosfera sognante e quasi fatata, l’ingresso in campo della “santa”, che scioglierà il  cuore di pietra del burbero e dispettoso Anteo, fino a farlo impazzire.

 

In questo film, come non mai, Tognazzi mostra le sue immense capacità attoriali, passando con una leggerezza impressionante da un registro all’altro.

A completare il cast Lucio Dalla, nei panni di Fava, un contadino che si rifiuta di segare il fico perché da piccolo, toccandolo, era guarito dal tifo, Gianni Cavina, in quelli del domestico Petazzoni, un po’ tonto.

Bizzarra citazione di Avati al film “Easy rider” di Dennis Hopper. Da incorniciare in apertura il filmino che racconta le origini storiche del miracoloso fico fiorone. Effetti di Carlo Rambaldi.

 

Per un approfondimento sulla filmografia di Ugo Tognazzi, si rimanda al volume di Ignazio Senatore “Ugo Tognazzi”, edito da Gremese (2021), corredato da 800 foto, dall’antologia della critica e dai commenti di attori e attrici, e registi che hanno lavorato con lui.

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