A seguito di un incidente, la pittrice Andrea Spiegelman ha perso la memoria e, sfigurata, è costretta ad indossare una maschera che le copre la metà del volto. Alla morte dello zio (Peter Sheperd), eredita una bellissima villa con una lussureggiante serra, ricca di piante tropicali e un prezioso diario, dove l’uomo appuntava gli effetti derivanti dall’assunzione di alcune sostanze psicoattive, estratte da particolari radici. Andrea sperimenta queste droghe e, come rinata, riprende a dipingere ma, sommersa da allucinazioni visive, perde sempre più contatto con la realtà e finisce per non distinguere più tra fantasia e realtà. La sua domestica Sabina (Petra Keslerova) è ritrovata con gli occhi che sputano sangue e con due chiodi che le trafiggono le orecchie. Germano (Luca Elmi), il suo fido cameriere, è barbaramente ucciso e il dottore (Lionello Gennero) di famiglia orribilmente mutilato. Grazie all’assunzione di una pianta che evoca il passato, Andrea ricorda che è rimasta sfigurata perché il marito Valerio (Giancarlo Previati), dopo aver scoperto che lei lo tradiva con un critico d’arte, l’aveva ustionato il volto con l’acqua bollente. Con lucida determinazione, dopo avergli deturpato il viso, lo uccide e, sul finale, ingerisce un farmaco che cancella ogni ricordo.
Zancolò dissipa un’idea che poteva essere intrigante. La trama è confusa ed il viraggio finale nell’horror sembra solo un espediente per tentare di rivitalizzare una vicenda che si trascina senza grossi sussulti. Per segnalare l’effetto delle sostanze sulla protagonista la regista inserisce qualche inserto in bianco e nero e mostra in rapida successione l’immagine di un fiore che sboccia, il volto sorridente di un bambino, Andrea che si culla su un dondolo o visualizza se stessa riversa con il capo su un tavolino. Per tutto il film la protagonista assume le droghe non per travalicare i confini della scienza, come faceva lo zio, ma solo per vincere la noia e la solitudine che l’attanaglia. Da segnalare un commento di Andrea che riprende a dipingere e si rivolge a Sabina e le dice: “Secondo Freud l’arte è sublimazione e se ricominciassi davvero sparirebbero forse anche i miei incubi.”
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