Sulla scorta delle terribili notizie che ci giungono dall’Ucraina la nostra mente non può non correre ai drammatici giorni che caratterizzarono la ribellione del popolo partenopeo che insorse, spontaneamente, dal 27 al 30 settembre del 1943, riuscendo nella storica impresa di cacciare le truppe tedesche al comando del colonnello Scholl, consacrando così Napoli come la prima città in Europa ad aver cacciato i nazifascisti. A documentare quei giorni “Le quattro giornate di Napoli”, film diretto da Nanni Loy, uscito nelle sale proprio sessanta anni fa.
Per la sua realizzazione, il regista sardo si ispirò al diario “L’ammuina” di Vasco Pratolini, scrittore fiorentino in quegli anni a Napoli, che non tradusse mai i suoi appunti in un romanzo. Più che puntare sullo scavo psicologico dei protagonisti, Loy, fedele ad un impianto corale, con taglio neorealistico, dedica molte scene agli scontri a fuoco tra i tedeschi e i rivoltosi e, con un bozzettismo un po’ di maniera, alterna scene drammatiche con siparietti leggeri. Al fianco di Gian Maria Volonté, Jean Sorel, Frank Wolff e Lea Massari, uno stuolo di attori partenopei: Aldo Giuffré, Enzo Turco, Luigi De Filippo, Antonio Casagrande, Carlo Taranto, Enzo Cannavale, Regina Bianchi e Pupella Maggio. Sebbene premiato con un Nastro d’argento per la miglior regia (ex aequo con “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi), miglior sceneggiatura e miglior attrice non protagonista (Regina Bianchi), candidato all’Oscar come miglior film straniero e migliore sceneggiatura, gran parte della critica accusò Loy di aver diretto un film populista che mostrava un’umanità fin troppo diseredata e stracciona. Inquadrato all’interno di un filone della cinematografia nostrana che, in quegli anni, provava a raccontare la recente storia italica, il film di Loy, dedicato alla memoria dell’undicenne Gennaro Capuozzo, medaglia d’oro al valor militare, resta un documento fondamentale per la rilettura dei tragici avvenimenti di quegli anni.
Articolo pubblicato su il Corriere del Mezzogiorno -8-4-2022
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