L’Unità 1995: Woody Allen e gli altri. Il cinema va in analisi

8 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
L’Unità 1995: Woody Allen e gli altri. Il cinema va in analisi
Interviste a Senatore
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“L’Unità” – 21.12.1995

“Woody e gli altri. Il cinema va in analisi”

di Cristiana Paternò

 

“Woody Allen? Il più grande sponsor della psicoanalisi”. Parola di Ignazio Senatore. Terapeuta e cinefilo, ha messo insieme le sue due passioni predominanti in un volume pubblicato l’anno scorso da Franco Angeli. Che s’intitola “L’analista in celluloide” e seziona un decennio di film film in cui compare, magari anche di striscio, uno strizzacervelli. Quasi un centinaio di titoli sopratutto americani, da“Allucinazione perversa” a “Doppia identità”, da “Il principe delle maree” a “Risvegli”, da “Antonia e Jane” a “Un angelo alla mia tavola”.

Pochi tutto sommati gli italiani. Ma con le dovute eccezioni: citatissimi Ferreri e Bellocchio, ci sono anche il Verdone di “Maledetto un giorno che ti ho incontrato”, il Piccioni di “Condannato a nozze”, il Lizzani di “Cattiva”, l’Archibugi de “Il grande cocomero“, il Francesco Nuti di “Caruso Pascowski”. A cui andrebbero aggiunti i recenti “Colpo di luna” e “Senza pelle”. Della sterminata filmografia alleniana, invece, compare un solo titolo, “Un altra donna”.

Perché?

Senatore: Perchè è il più psicoanalitico e perchè segna una svolta nell’uso che Woody Allen fa della psicoanalisi: dalla risata alla realtà. Diciamo che ci ha portato fuori dal ghetto.

In che senso?

Senatore: Nel senso che Allen ha sempre fatto dell’ironia o dell’autoironia sull’argomento: in stile ” se non funziona neanche stavolta, vado a Lourdes”. Già negli Anni Settanta, dai tempi di “Provaci ancora Sam” e “Prendi i soldi e scappa”, ha dato un’immagine grottesca dello strizzacervelli americano però in questo modo ha mostrato che non è così grave andare in analisi.”

E “Un altra donna”?

Senatore: Lì mette in scena un rapporto terapeutico reale e mostra che l’analisi funziona perchè riesce a mutare le persone: non solo la paziente, ma anche la donna che occupa l’appartamento e che ascolta involontariamente le sedute attraverso l’impianto di areazione. Certo, non è un setting corretto ma c’è un gioco d’identificazione e di rispecchiamento che può far capire allo spettatore qualcosa di autentico sul rapporto analitico.

In realtà, come si legge nel suo libro, il cinema tende a dare un’immagine negativa dell’analista: insicuro, fragile, sessualmente coinvolto con le pazienti, addirittura omicida… 

Senatore: Inizialmente trovavo disturbante il clichè cinematografico dello psichiatra folle e inaffidabile, ma poi ho capito che il mio atteggiamento era difensivo, che non aveva molto senso inchiodare sceneggiatori e registi sulle imprecisioni e sulle superficialità con cui ci dipingono… Anche altre categorie, i medici, per esempio, sono fortemente standardizzate nei film. Però bisogna ricordare che il cinema è finzione, che ama ribaltare i ruoli e tende, quasi sempre, a dare un messaggio rassicurante: se gli psichiatri sono così a pezzi, o siamo tutti pazzi o siamo tutti sani. E allora non c’è bisogno di andare in terapia.

Torniamo a Woody. Che ha preso molto in giro la categoria, ma senza risparmiare il paziente medio americano: borghese, nevrotico, destinato ad un ‘analisi interminabile e in definitiva inutile.

Senatore: Intanto bisogna dire che la psicoanalisi americana è molto diversa da quella europea. E’ più che altro una moda ed infatti è molta diffusa tra le star: Sharon Stone ha confessato ultimamente di essere andata in terapia. Ma spesso si tratta di un approccio comportamentista, di un’analisi breve. Quanto ad Allen, le sue battute hanno svolto una funzione importantissima: quella di umanizzare l’analista, di renderlo meno estraneo. E poi, via via ha approfondito la sua visione della psicoanalisi.

Da dove nasce, secondo lei, questa fissazione per l’argomento.

Senatore: Dalla sua cultura, che è molto europea e che è molto intellettuale. E anche dal fatto che Woody è ebreo: non dimentichiamo che il pensiero di Freud è figlio dell’ebraismo. E infatti anche un altro ebreo come David Mamet usa concetti psicoanalitici ed ha fatto un film “La casa di giochi” dove c’è una psicologa beffata e presa in giro.

Proviamo a psicoanalizzare Woody Allen attraverso i suoi film

Senatore: Premesso che non si sa mai dove finisce e dove inizia l’autobiografia nel lavoro di un artista, mi viene subito in mente che tutti i suoi film parlano in qualche modo del problema dell’identità. In “Provaci ancora Sam” c’è un protagonista che cerca di imitare Bogart per poi trovare se stesso. “Zelig” è tutto sull’assenza di un’identità definita. “La rosa purpurea del Cairo” gioca sull’intreccio tra realtà interna e realtà esterna, con fantasie che si materializzano attraverso il cinema. Poi è ossessionato dalla figura materna, che diventa una presenza incombente nel cielo di New York nell’episodio di “New York Stories” intitolato “Edipo relitto” che tra l’altro suggerisce un possibile rapporto tra magia e psicoanalisi.

Poi c’è la nevrosi tipica del newyorkese.

Senatore: Si, i suoi personaggi sono tutti nevrotici. Penso a “Io e Annie” dove Diane Keaton è fin troppo sopra le righe. Oppure anche la protagonista di “Hannah e le sue sorelle”, tutte piuttosto depresse con una madre alcolizzata e notevoli problemi familiari. Ma è una nevrosi guardata con partecipazione: non a caso Allen ama lavorare sempre con le stesse attrici che spesso sono sue amiche o sue compagne. E poi lui stesso ha molti aspetti nevrotici. Per esempio il suo bisogno di fare almeno un film all’anno sembrerebbe proprio un sintomo.

A proposito, come giudica l’intricata vicenda della separazione Farrow- Allen?

Senatore: Tutti e due si sono comportati in modo strano: lei che non può fare a meno di adottare schiere di ragazzini stranieri, lui che si mette con la figlia adottiva e viene accusato di molestie verso un altro figlio…Tra l’altro, adesso che ci penso, nei suoi film non ci sono quasi mai dei bambini. Però non mi pare trapeli una tendenza pedofilica. Semmai c’è più claustrofilia, un bisogno di circoscrivere lo spazio in interni dove si parla tantissimo. E questo è un elemento che rimanda al setting.

Un bambino c’è nell’ultimo film “Mighty Aphrodite”, e guarda caso è un figlio adottivo…Ma forse il vero, eterno bambino è proprio Woody….

Senatore: Probabilmente si. Mi pare che abbia un forte bisogno di regressione orale. Lo testimonia il fatto che suona il clarinetto e la presenza cvostante di cibo nei suoi film. Ma anche molte cose che raccontano su di lui: per esempio, sul set è divino, ha il controllo della situazione, ma poi non riesce a prendere un aereo o un autobus da solo. E’ anche ossessionato dagli occhiali, però è riuscito ad elaborare benissimo il problema sopratutto in “Radio days”.

Le piacerebbe averlo come paziente?

Senatore: Certo, anche se non credo che sarebbe facile tenerlo fermo sul lettino. E poi la sua cura sono i film.

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