L’uomo zapping

14 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
L’uomo zapping
Senatore giornalista
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Circa una decina di anni fa, Win Wenders a chi gli chiedeva di commentare i cambiamenti che erano avvenuti negli ultimi anni nell’uso della televisione, affermava: “C’è un’intera generazione di bambini che vive davanti al piccolo schermo passando di continuo da un canale all’altro, dedicando più o meno cinque secondi a ogni singolo programma per paura di perdere qualcosa di importante su un altro canale. In realtà non guardano: semplicemente ricevono quel che appare sullo schermo, senza seguire nulla. Un po’ come saltare da un programma all’altro: appena si ha la sensazione di aver capito quello che sta succedendo qui, adesso, si passa subito ad un altro canale. Vent’anni fa era diverso, le nostre menti funzionavano in un altro modo fino agli Anni Settanta, voglio dire, i pensieri delle persone non saltellavano con tanta frenesia.”  Peter Greenway, affermava, in maniera più perentoria che il 1983, anno nel quale è databile l’invenzione del telecomando televisivo, è il punto di non ritorno di questa “rivoluzione epocale”. Ma da cosa ci volevano mettere in guardia questi due grandi maestri del cinema? Perso il senso del racconto, le immagini stesse sono divenute l’unica narrazione possibile da proporre allo spettatore televisivo. Lampi, inquadrature isolate, scene che non hanno alcun nesso l’una con l’altra. Il nuovo codice televisivo ha decretato che le immagini devono susseguirsi affannosamente l’uno all’altra, senza un attimo di respiro. Il senso di questa scelta? Addomesticare, disinnescare, disabilitare il pensiero dello spettatore. Zapping, ecco l’atto magico che si materializza ogni qual volta siamo davanti allo schermo televisivo. Dotato di un telecomando lo spettatore, da “homo sapiens” è diventato di colpo “homo videns”! Ma in una civiltà governata dal flusso ininterrotto delle immagini, come sono cambiate le campagne elettorale dei politici nostrani?  Nell’era pre-Mediaset le famose “tribune elettorali” (dirette dall’anodino Jader Jacobelli) erano l’unico spazio democratico dove era possibile assistere al confronto, spesso aspro e serrato, tra i contendenti degli opposti schieramenti. Nell’era dello zapping, i politici, che sfilano nei salotti televisivi, tutti lustrati a lucido e con la faccia sempre sorridente, hanno appreso che lo spettatore televisivo non resta incollato più come un tempo allo stesso canale televisivo.  Che fare? Di colpo tutti (o quasi) hanno mutato rotta. Perché scaldarsi tanto se nella mente e nelle pupille dello spettatore resterà impressa solo la loro icona?. Nessuno si sforza a formalizzare un pensiero, una proposta, un’idea, certi che riproporre la propria icona sullo schermo televisivo vale molto più di mille parole. Eppure, continuo a credere che tra coloro che accendono l’apparecchio televisivo in questi giorni, nel pieno della campagna elettorale, c’è chi continua a mantenere una vigilanza del pensiero. Sono certo che quando questi telespettatori incroceranno sullo schermo alcuni dei politici nostrani, ribaltando quanto detto finora, penseranno alla splendida affermazione di Douglas Sirk: Ho imparato a fidarmi dei miei occhi più che della vacuità delle parole.

La Voce della Campania – Numero 6 – Giugno 2004

 

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