Rita Atria aveva solo diciassettenne anni quando nel 1991, zaino della scuola in spalla, denunciò al Procuratore di Palermo i mafiosi che avevano ucciso il padre e qualche anno dopo il fratello Nicola, entrambi legati alla medesima cosca. Paolo Borsellino l’inserì in un programma di protezione ma dopo la strage di Via D’Amelio nella quale il giudice e la sua scorta furono barbaramente uccisi, l’equilibrio psicologico di Rita si spezzò fino a spingerla al suicidio. La madre, che in vita l’aveva sconfessata, per rimarcare ancora di più la propria distanza emotiva, devastò la sua tomba con un martello. Da questa toccante vicenda umana il regista Marco Amenta ne ha tratto “La siciliana ribelle”, un film da oggi nelle sale.
“Mi sono allontanato dalla realtà per elevare la storia, renderla più universale ed evitare quella somiglianza che rischia spesso di risultare posticcia. Nel film i nomi dei personaggi sono stati cambiati volutamente ma la vicenda è nota ed il film si chiude con un omaggio a Rita ed a Paolo Borsellino. E’ la prima volta che la mafia è raccontata dagli occhi di una ragazzina, cresciuta in quella cultura e convinta che il padre sia una creatura mitica, un eroe come Robin Hood”.
Il cuore del film sta nello scontro tra la ragazzina “ribelle” ed il giudice che deve operare dentro di lei un profondo e radicale cambiamento e convincerla che i mafiosi sono dei criminali e non degli uomini d’onore. Inizialmente il giudice si rivolgerà a lei in maniera scontrosa ed aggressiva ma poi cambierà radicalmente atteggiamento fino a mostrarsi come un padre.
Il film è girato in maniera cruda e ruvida, interpretato da attori siciliani e, per l’uso del dialetto, sottotitolato in alcune parti.
“Non ho scelto attori fighetti e bellocci e per imprimere un tocco neorealistico alla vicenda ho limitato al massimo la musica. Come stile direi che il film s’ispira più a Gomorra che a I cento passi o a Galantuomini. La mia soddisfazione maggiore è stato il commento della vedova Borsellino che mi ha ringraziato perché nel vedere il film ha ritrovato il marito.
Con questo film so di non poter cambiare il mondo ma mi auguro di poter accendere negli spettatori qualche scintilla che si trasformarmi in fuoco. Se così non fosse, tanto vale cambiare mestiere. Del resto non si può non parlare di questi argomenti e mi chiedo ancora come sia possibile che su Facebook ci siano dei gruppi che inneggiano a Totò Reina.”
Gli fa eco Veronica D’Agostino, la giovane protagonista del film:
“La storia di Rita non la conoscevo e l’ho scoperta per caso. Dopo aver fatto il provino ho iniziato a sentirla sempre più parte di me. Rita era una ragazza sensibile, forte, determinata e con una grande voglia di vivere. Sul set ci sono stati dei momenti difficili e di tensione tanto era toccante la sua storia. Spero che nel vedere questo film i giovani si scrollino addosso l’egoismo che li sommerge.”
Articolo pubblicato su “Epolis”- 27-2-2009
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