Ignazio Senatore intervista Marco Bellocchio: “Giro a Napoli, uno Stato nello Stato”

2 Giugno 2023 | Di Ignazio Senatore
Ignazio Senatore intervista Marco Bellocchio: “Giro a Napoli, uno Stato nello Stato”
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“Napoli è Napoli. E’ in Italia, ma è uno Stato nello Stato. E’ una città che mi ha arricchito tanto, conoscevo a memoria decine di canzoni napoletane e “Luna rossa”, “Na’ sera e maggio” e “Indifferentemente” erano le mie preferite. Ho visto le ultime recite a teatro di Eduardo, per non parlare del mio amore per Totò.”

Così Marco Bellocchio, che oggi presenterà Rapito”, il suo ultimo film, proiettato recentemente al Festival di Cannes, assieme a Barbara Ronchi, Fabrizio Gifuni e Fausto Russo Alesi, (ore 18.40 Cinema Filangieri; ore 20.00 Modernissimo; ore 21 America Hall).. La vicenda narra di Edgardo Mortara, un bambino ebreo bolognese che, ad insaputa dei genitori, è battezzato da una domestica. Grazie alla tenacia del cardinale Feletti, la notizia arriva a papa Pio IX, che ordina ai suoi soldati di recarsi a casa dei Mortara e di condurre il piccolo a Roma per indottrinarlo alla fede cattolica. Il padre e la madre del piccolo mobilitano il mondo ebraico, fanno scoppiare uno scandalo ma non riusciranno a riavere il figlio.

Nel 1972 dirige “Nel nome del padre” e racconta di Angelo Transeunti, il giovane protagonista, che si ribella duramente ai sacerdoti di un collegio cattolico.  In “Rapito” invece, il protagonista ripudia di fatto la religione ebraica e abbraccia la fede cattolica.

“In quel film, scritto allora insieme a mio figlio Pier Giorgio, fortemente  ideologico, era molto marcata l’idea della condanna alla Chiesa. Transeunti, infatti, l’attaccava, accusandola di non essere moderna, di non stare al passo con i tempi. In “Rapito” lo spirito è completamente diverso e non vuole condannare il Papa di allora, ma rivolgere l’attenzione verso un tipo di violenza che fu perpetrato al tempo, in nome della fede religiosa.”

Il primo  titolo del film era “La conversione”. Perché l’ha cambiato?

“Perché ho avuto delle forti critiche dal mondo ebraico e allora ho preferito puntare su “Rapito”, titolo molto evocativo.”

Narra di un episodio avvenuto a metà Ottocento. E’ il segnale di una difficoltà di raccontare il presente?

“Quando decido di fare un film faccio riferimento a quello che sento. Dopo la lettura del libro “Il caso Mortara di Daniele Scalise, al quale il film è liberamente ispirato, ero rimasto molto colpito. In verità, qualche anno fa con “Bella addormentata” raccontai l’attualissima vicenda Englaro.”

Nella sua lunga carriera ha diretto alcuni attori napoletani: Vittorio Mezzogiorno ne “La condanna”, Gianfelice Imparato in “Enrico IV” e Toni Servillo in “Bella addormentata” e in Esterno notte.”

“Io che sono piacentino, quando sento la cadenza partenopea rimango attratto. Chi è nato all’ombra del Vesuvio ha una facilità di comunicazione, di emozionare. Gianfelice Imparato è un gigante, Vittorio Mezzogiorno era un attore favoloso e di Toni Servillo è inutile tessere elogi. Gli attori napoletani vengono ad una grande scuola di teatro, come se facessero parte tutti di una famiglia numerosissima.”

Sta per girare tra qualche mese a Napoli un film sulla vicenda Enzo Tortora

“Si, è un’occasione per conoscere ancora meglio questa città e la napoletanità. Ho scelto di narrare la vicenda di Tortora perché è una storia di ingiustizia ma, rispetto ai tanti misteri italici rimasti insoluti, racconto un uomo che è riuscito a battersi perché fosse riconosciuto innocente. Mi interessava il fatto che ad essere coinvolto fosse una celebrità televisiva e mostrare come fu proprio la scoperta di un mondo sconosciuto, quello del carcere, che  gli donò la forza per potersi battere e difendersi ancora di più.” 

Articolo pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno – 2-6-2023

 

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