Napoli ed il cinema degli albori

14 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Napoli ed il cinema degli albori
Senatore giornalista
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Abadir, Acacia, Ausonia, Cairoli, Corallo, Cristallo, Gloria, Imperiale, Italnapoli, Nuovo.Operativo, Santa Lucia, Titanus, Tosca… sono queste solo alcune delle storiche e gloriose sale cinematografiche cittadine chiuse in questi ultimi decenni. Un triste primato per una città come Napoli che accolse con entusiasmo sul finire dell’Ottocento la nascita della “settima arte”. Non tutti sanno che i primi film dei fratelli Lumiere furono proiettati per la prima volta in città nell’aprile del 1886 nel Salone Margherita, l’unico locale all’epoca consono ai gusti dei dandies dell’epoca. Sull’onda di tale successo tre anni Mario Recanati aprì a prima sala cinematografica nella Galleria Umberto I. Nel giro di qualche anno seguirono la Sala Iridenel 1901, nel 1903 la Sala Troncone al Corso Garibaldi ma il vero salto di qualità fu nel 1905 con l’inaugurazione del Nuovo Cinematografo in Piazza Municipio che dopo qualche mese mutò il nome in  Salon Parisien. Nel 1907 le sale cinematografiche a Napoli il numero di venti.Nel 1908, in Italia ci sono sette riviste specializzate di cinema e sei sono pubblicate a Napoli. Nel 1911 su ventotto riviste specializzate, undici sono prodotte a Napoli. Questi dati ci confermano con quanto entusiasmo il cinema fu accolto a Napoli e del grande fermento culturale che viveva al tempo la città.  Ma il cinema muoveva ancora i primi passi e visto che gli spettatori non resistevano a lungo dinanzi alle tremolanti immagini proiettate sulla tela, alcuni esercenti pensarono di abbinare al film una serie di supporti spettacolari dal vivo (numeri di varietà, cantanti, equilibristi, fantasisti). Nacque il “caffè-chantant” che ebbe uno straordinario successo a Napoli perché la canzone dialettale napoletana attraversava il suo periodo d’oro. Contemporaneamente la sceneggiata, nata tra la fine del 1910 ed il 1920, iniziò sempre più ad attirare l’attenzione degli spettatori. Il copione era semplice; dei malavitosi che s’innamorano della stessa donna o che vanno in galera per aver lavato l’onore offeso, qualche storia di infuocata passione ed un paio di canzoni come sottofondo. Il procedimento adottato era quello di organizzare “scene sulle canzoni”, inframmezzate da balletti. In quel tempo, inoltre, una serie di scrittori di fama scrissero dei soggetti cinematografici: Roberto Bracco (Nellina, Il perfetto amore, Le due Marie, Sperduti nel buio, Il diritto di vivere) Matilde Serao (La mia vita per la tua, La mano tagliata, Torna a Surriento, Dopo il perdono, Cuore infermo) Salvatore Di Giacomo (Assunta Spina, Il voto).Intorno al 1919 che fu introdotta la “canzone drammatica”, detta di “giacca” perché il cantante non appariva in pubblico con il frac ma appunto in giacca ed i più grandi autori del genere furono Libero Bovio, E. A. Mario ed Enzo Luciano Murolo. In quel fermento culturale canzone dialettale, sceneggiata e cinema si fusero insieme e nel giro di pochi mesi i maggiori successi canori delle Piedigrotta giungevano sullo schermo. Tra le varie pellicole prodotte da segnalare ‘A Legge di Elvira e Nicola Notari (1920) Si ve vulesse bene di Emanuela Rotondi (1922)  Un cuore, un pugnale, un cervello di Charles Krauss (1922) ‘O schiaffo di Emanuele Rotondi (1923)  L’urdema canzone mia  di Fausto Correra (1923) Cor ‘e guappo  di Mario Negri (1925).  Tra il 1924 ed il 1925 più di un terzo dei film italiani è prodotto a Napoli. Al regime fascista che vuole restaurare i fasti della Roma imperiale non può piacere questa umanità stracciona. Nel 1920 una circolare dell’Ufficio che si occupa della censura precisa che non verrà più concesso il nulla osta a quei film che risultano indegni della bellezza di Napoli. Non saranno più tollerati film con posteggiatori, scugnizzi, vicoli sporchi, gente dedicata al dolce far niente.

“Sembra impossibile ! Che proprio non si possa trattare argomenti popolari senza far vibrare il raggio obliquo della malavita” scrive Emilio Pastore sulla Rivista torinese “La vita cinematografica. Seriamente non vi sembra, cari signori cinemato-folkroristici italiani, che sarebbe ora di finirla di mostrare l’Italia e la mondo Napoli, regina del mare, incoronata dal fuoco, ammantata di sole, adagiata sulla spuma delle onde, Napoli di cui ogni italiano è fiero, di mostrarla, come la patria degli straccioni dei sudicioni, dei morti di fame!Smettetela, signori miei, e se non avete niente altro da fare, andate a suonare l’organetto per strada” (Alessando Blasetti) I film della Notari venivano regolarmente stroncati. Un suo film “Carcere”,ispirata alla canzone di Libero Bovio fu censurato, accorciato ed il titolo mutato in “Sotto San Francisco”. Lo stesso Gennariello, figlio di Elvira Notari, in un’intervista afferma: “Ormai al lotta con la censura era quotidiana. Sopratutto una cosa dava fastidio, la “zumpata”, cioè il duello a coltello tra i guappi, e questo mentre arrivavano dall’America il film western con sparatorie e duelli al sole. Mia madre non riusciva a capire perchè dessero fastidio a Napoli scene di duello che erano apprezzate e tollerate nei film stranieri. Ma era così e non c’era niente da fare!” Dopo il crollo del fascismo, Napoli, palcoscenico ideale dove ambientare drammi e passioni, continuò ad essere una delle città più “gettonate” dal cinema italiano, fino a diventare la patria dei “musicarelli” e di decine di commedie all’italiana. Antonio Capuano, Mario Martone, Pappi Corsicato, Stefano Incerti ed Antonietta De Lillo sono la più evidente testimonianza di quell’indissolubile rapporto che lega anche ai giorni nostri Napoli ed il cinema.

 

La Voce della Campania – Numero 6 – Giugno 2006

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