Nemmeno il destino di Daniele Gaglianone – Italia -2004

18 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Nemmeno il destino di Daniele Gaglianone – Italia -2004
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“Miglior film italiano” Premio ARCI Cinema Giovani e Premio “Lino Miccichè”; questo il lusinghiero palmares di “Nemmeno il destino”, opera seconda di Daniele Gaglianone.  Il titolo rimanda inequivocabilmente ad una canzone portata al successo, negli Anni Sessanta “dall’urlatore” Tony Dallara, ma l’amore, in questo film non c’entra affatto. Il destino a cui fa riferimento Gaglianone è quello che ha “segnato” (inevitabilmente)  tre adolescenti. Alessandro (Mauro Cordella) ha una madre dolce e gentile ma divorata dalla follia; Ferdinando (Fabrizio Nicastro) un padre perennemente sbronzo ed incapace di prendersi cura di sè; Toni (Giuseppe Sanna) ha alle spalle una devastante esperienza in fabbrica.

Film su certe eredità familiari che pesano come un macigno, su quel gelo interiore che attanaglia certi giovani adolescenti e che li rende ancora di più vulnerabili e “vinti”. Famiglie scompaginate al loro interno e deprivate di figure genitoriali (Alessandro vive da solo con la madre e Ferdinando con il padre) adolescenti  infreddoliti perché all’interno delle loro mura domestiche non circola né amore, né affetti. Mio nonno mi regalò un orologio e mi disse: Te lo regalo non perché ti possa ricordare del tempo ma perché lo possa dimenticare.”;

“Le battaglie non si vincono mai, non si combattono nemmeno”. dirà Ferdinando, il più disperato dei tre. Al cinema, si sa, si può modificare il corso del tempo e Gaglianone si diverte con la sua macchina da presa a proporre dei rapidissimi scarti temporali.

Ed è proprio in questi piccoli e quasi impercettibili flashback e flashfoward la cifra stilistica più interessante di tutto il film. Trucchi in salsa Meliès (istantanee apparizioni e sparizioni dei singoli protagonisti) un montaggio rapido ed asciutto che arricchisce ancora più la pellicola.

Le storie di tre ragazzi s’intrecciano: Alessandro (Mauro Cordella), quindicenne inquieto, vive con la madre Adele, una donna divorata dalla follia; Ferdinando (Fabrizio Nicastro) si accompagna a un padre perennemente sbronzo; Toni (Giuseppe Sanna) un ragazzo con alle spalle una devastante esperienza in fabbrica. La tensione e il malessere crescono a vista d’occhio; Tony sparisce nel nulla e Ferdinando, una notte, dopo aver danzato con il proprio motorino sul bordo dei solai di un palazzo in costruzione, si lancia nel vuoto. Adele peggiora sempre più e per dar sfogo alla propria rabbia, Alessandro appicca il fuoco in un appartamento di due anziani amici di famiglia. Anche il suo destino è già segnato e finisce in riformatorio.

Gaglianone, nella sua seconda opera, si diverte con la macchina da presa a proporre rapidissimi scarti temporali ed è proprio in questi piccoli e quasi impercettibili flashback e flashfoward la cifra stilistica più interessante di tutto il film. Trucchi in salsa Meliès (istantanee apparizioni e sparizioni dei singoli protagonisti) e un montaggio rapido e asciutto che arricchisce la pellicola. Nicastro sembra Gérard Philipe da ragazzo e la sua recitazione è fresca e spontanea come lo è tutto il film. Gaglanone nei titoli di coda regala un ultimo pensiero allo spettatore: “Alle cose che si perdono”. Che fosse il suo un presentimento per la cattiva distribuzione del film? Tratto dall’omonimo romanzo di Gianfranco Bettin (edito da Feltrinelli) il film è prodotto dalla Fandango. Da segnalare l’ottima colonna sonora di Giuseppe Napoli.

 

Recensione pubblicata su L’Articolo- Redazione napoletana del “L’Unità” – 14-11-2004

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