Tutto nacque come un fantastico scherzo planetario: uno psichiatra americano fece girare in rete un’ipotetica malattia, l’Internet Addiction, frutto dalla Dipendenza da Internet. Altra beffa clamorosa fu l’invenzione di gruppi d’auto-aiuto per erotomani che chattavano in rete. Ben presto la comunità psichiatrica si accorse però che l’immaginazione aveva soltanto preceduto la realtà. Nel 1995 Ivan Goldberg propose la sigla IAD (Internet Addiction Disorder) per definire un piccolo corteo di sintomi che colpiva i navigatori più incalliti; scarse prestazioni professionali, trascuratezza dei figli e della famiglia, un’eccessiva irrequietezza quando sorgevano dei problemi per collegarsi in Rete, irritabilità nel caso erano costretti a dover interrompere o a ridurre sensibilmente i collegamenti. Ma prima di occuparci dei rischi legati ad un eccessiva esposizione ad Internet, facciamo un piccolo salto indietro e riepiloghiamo le tappe salienti che hanno portato al boom planetario di Internet. La prima rete di computer viene creata verso la fine degli anni sessanta dal Dipartimento della Difesa americano e la sua realizzazione fu curata dall’ARPA (Agenzia per Progetti di Ricerca Avanzati) allo scopo di collegare tra di loro e poterli comandare a distanza i computer delle postazioni tattiche militari più importanti. Ben presto questo sistema di computer-network uscì dall’ambito militare ed il suo uso fu esteso ad istituzioni educative. Nel 1969 l’ARPA fece installare un nodo del network all’Università della California e più tardi all’Università dello Utah ed allo Stenford Research Institute. Successivamente dalla sua costola si originò ARPAnet, un sistema utilizzato per le comunicazioni interpersonali (la posta elettronica) che fu denominato Internet. Da allora ne è passata acqua sotto i ponti ed i sistemi d’informatizzazione si sono diffusi, in maniera così esponenziale negli anni che il computer è diventato oggi lo strumento elettronico più utilizzato al mondo. La sua diffusione domestica lo ha reso così fruibile che, secondo le recenti statistiche, la nuova generazione di adolescenti lo preferisce di gran lunga alla televisione. Nel libro, scritto nel 1984, intitolato “Il secondo Sé”, Sherry Turkle ha ipotizzato che, ai giorni nostri, il computer è diventato un prolungamento del corpo umano, un appendice di cui nessuno può più fare a meno. In alcuni soggetti la dipendenza al computer è così radicata che in caso di guasto del loro amato PC somatizzano fino a sudare, provare mal di testa, soffrire di crisi tachicardiche, fino a sentirsi, nei casi più estremi frustrati, dimezzati, mutilati. E non è un caso che nel gergo corrente quando un computer s’imballa, si usa dire, come fosse un organismo vivente, che è stato attaccato da un virus. Le statistiche affermano che i soggetti che strutturano un vero e proprio rapporto di dipendenza simbiotica con il PC e che possono sviluppare dei veri e propri sintomi psichiatrici, oscillano in una fascia di età che si aggira tra i 15 e i 40 anni, che lavorano generalmente di notte e che sono in una condizione di un discreto isolamento geografico. E’ passato del tempo dalle formulazioni teorizzate da Ivan Goldberg e negli anni sono state ipotizzate altre differenti patologie; compulsive on-line Gambling (possibilità di accedere da casa a tutti i Casino virtuali o a siti di scommettitori) cybersexual Addiction (possibilità di accedere a tutto il materiale erotico disponibile in Rete); cyber Relatioship Addiction (possibiltà di stabilire relazioni amicali (chat line) mud’s addiction (possibilità di accedere a dei giochi di ruolo nei quali il giocatore può decidere di assumere le caratteristiche psicofisiche di suo piacimento) Ma cosa spinge le persone ad isolarsi dal mondo reale per lasciarsi risucchiare dal misterioso mondo del cyberspazio, fino ad ammalarsi di “Rete”? Tra le ipotesi possibili più accreditate; ; lo stato di eccitazione collegati alla gratificazione immediata di ogni piccolo bisogno, la possibilità di anonimato che rende possibile il gioco dell’alternarsi d’identità, la sicurezza di rimanere al riparo dietro il monitor e di poter confessare i desideri più reconditi; la fantasia di poter essere col-legati con una massa infinita di soggetti; la convinzione di potersi affacciare, senza alcun limite di tempo, su una finestra del mondo che si può chiudere ed aprire a proprio piacimento; il bisogno di rifugiarsi in uno spazio dove ci si crede al riparo del mondo reale; il sentirsi gratificati dalla Rete, intesa come una mamma affettuosa e generosa, dal seno sempre ricolmo d latte. Maledetto il progresso, dunque? Niente affatto ma, come sempre: attenzione agli eccessi e diffidate soprattutto di tutta una schiera di psicoterapeuti cibernetici in erba che vi promettono in Rete, per modiche (?) cifre, il raggiungimento dell’equilibro e della felicità. Fino a prova contraria, nei suoi scritti, Sigmund Freud, ha teorizzato di “costruzioni” tra analista e paziente nel corso dell’analisi e non di collegamenti.
La Voce della Campania” – Numero 10- Ottobre 2006
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