Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani– Italia – 1977 – Durata 117’

21 Febbraio 2020 | Di Ignazio Senatore
Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani– Italia –  1977 – Durata 117’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Strappato all’infanzia, il piccolo Gavino, primogenito di cinque figli, deve abbandonare la scuola elementare per aiutare il padre (Omero Antonutti) a coltivare i campi ed a governare e custodire le pecore. Con lo scorrere degli anni il padre continua ad imporgli le sue decisioni e quando Gavino (Saverio Marcone) prova ad abbandonare quel luogo impervio e solitario per andare a lavorare in Germania con altri compaesani, il padre glielo impedisce. Arriva la cartolina del precetto di leva, suo padre non può opporsi alla partenza e Gavino, analfabeta, grazie all’amicizia di Cesare (Nanni Moretti), un commilitone con il quale stringe una sincera amicizia, inizia a studiare e ad appassionarsi all’etimologia delle parole. Rientrato a casa, Gavino si ribella al padre e dopo aver ripreso gli studi, si laurea in glottologia.

Splendido affresco della società rurale tratto da un libro autobiografico di Gavino Ledda del 1975 che, con il proprio commento, introduce e chiude il film. Lirico, poetico e mai eccedente, la pellicola narra del rapporto ambivalente e conflittuale tra un padre-padrone sardo che ritiene il figlio di suo proprietà al pari di una capra o di un vitello ed un ragazzo che (non a caso) si tuffa nello studio delle parole per poter affrancarsi dall’imposizione del silenzio che il genitore gli ha imposto negli anni. Ed è proprio l’acquisizione del linguaggio, lo strumento di cui Gavino si appropria per promuovere la propria crescita umana e culturale e per ribellarsi dal dominio del padre.

Nella prima parte del film, il papà di Gavino, per quanto possa apparire burbero e severo, sembra un uomo piegato dalla miseria e costretto, gioco-forza, a dover imporre al figlio le sue scelte. Il suo atteggiamento non muta però nel tempo ed il suo voler imporre le sue decisioni in famiglia diviene la spia di un carattere dispotico ed arrogante. Dopo aver venduto l’orto, l’uliveto, il gregge e gli arnesi di lavoro investe il ricavato in banca, spedisce sua figlia Ignazia a servizio a Forlì, i due figli maschi a fare i braccianti e decide che Gavino, dopo aver preso la licenza elementare, deve arruolarsi nell’esercito. Nel finale Gavino trova la forza di ribellarsi e stigmatizza il suo atteggiamento con un secco: “Voi patriarchi avete fatto solo due cose nella vita; ubbidito prima e comandato dopo.” Intensa la colonna sonora di Egisto Macchi. Palma d’oro al Festival di Cannes (1977)

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