Psycho II di Richard Franklin – USA – 1982 – Durata 113’

5 Ottobre 2020 | Di Ignazio Senatore
Psycho II di Richard Franklin – USA – 1982 – Durata 113’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Dopo essere stato ricoverato ventidue anni in un manicomio criminale, Norman Bates (Anthony Perkins) torna in libertà e Lila (Vera Miles), sorella di una delle sue vittime, si mette a capo di un comitato di protesta cittadino che si batte contro il suo rientro in città. Grazie all’intervento dei servizi sociali Norman è assunto come aiuto cuoco in un piccolo ristorante e, gentile e disponibile con i clienti, familiarizza con Mary (Meg Tilly) una cameriera sensibile e pasticciona. Norman sembra aver ritrovato l’equilibrio perduto e ritorna nel motel di sua proprietà dove viveva un tempo con la sua adorata madre, defunta da anni. Un paio di misteriosi bigliettini ed una figura che si aggira nel motel simile come una goccia d’acqua a sua madre, riattivano la sua mente malata. Il gestore del motel, un tipo violento e rissoso, è trovato morto ed i sospetti cadono su Norman. Grazie all’aiuto di Mary, la verità sale a galla; Lila aveva organizzato tutta la messinscena per spedire Norman nuovamente in manicomio.

Franklin gira il sequel di uno dei film più acclamati della storia del cinema e per questo titanico tentativo va in qualche modo lodato. In più occasioni il regista prova fornirci dei rimandi con la pellicola precedente ma ogni suo tentativo naufraga miseramente. “Sono guarito; non ammazzo più” è quello che Norman continua a ripetere a Mary ed al dottor Raymond (Robert Loggia) lo psichiatra che lo ha in cura.. Per imprimere un pizzico di suspense alla pellicola Franklin si affida a qualche effetto di genere (la vasca da bagno che sgorga sangue; la voce della madre di Norman che si ode in sottofondo) e per ravvivare la vicenda introduce la figura di una zia che confessa a Norman di essere la vera madre e che, affetta da una grave malattia mentale, era stata costretta, al tempo, ad affidarlo alla sorella che si era spacciata, poi, per sua madre. Perkins cerca di salvare il salvabile e la sua faccia perennemente smarrita ed impaurita tiene in qualche modo, in piedi il film. Intreccio narrativo a parte, non convince la scelta del regista di affidarsi ad un colore scialbo, sbiadito e povero di contrasti.

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