“Riflessioni a margine di un dipinto” – Catalogo della mostra di pittura “Arte, cinema e poesia per Procida e i Campi Flegrei”

10 Agosto 2022 | Di Ignazio Senatore
“Riflessioni a margine di un dipinto” – Catalogo della mostra di pittura “Arte, cinema e poesia per Procida e i Campi Flegrei”
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In Surviving Picasso di James Ivory (1996), il regista americano affida all’attore Anthony Hopkins, interprete del famoso pittore spagnolo, questa riflessione:

La pittura è più forte di me, mi fa fare quello che vuole. La mia mano, che tiene il pennello, pare che non obbedisca al mio cervello ma a qualche cosa sulla quale non ho alcun controllo. Ecco, guarda qui. Ovviamente è una donna, sei tu, il tuo lungo abito nero, ma sembra che tu ti stia trasformando in un mazzo di fiori o in un cespuglio di lilla. Molto misterioso. Io credo di aver dipinto una cosa ed invece è un’altra.”

Gli fa eco il pittore Francis Bacon:

L’altro giorno, quando tentavo disperatamente di dipingere quella testa di una specifica persona, ho usato un pennello molto grosso e una grande quantità di colore, che ho applicato sulla tela con molta, molta libertà alla fine non sapevo più cosa facevo quando, tutto a un tratto, la cosa ha fatto click ed è diventata esattamente uguale all’immagine che stavo cercando di fissare sulla tela. Ma non è avvenuto in seguito a un atto di coscienza.”

Probabilmente anche gli artisti che partecipano alla mostra pittorica “Per Procida e i Campi Flegrei- Arte, cinema e poesia”, allestita presso il Real Sito del Fusaro – Casina Vanvittelliana, nel dipingere le opere avranno provato le stesse emozioni evocate nel film di Ivory o espresse dal geniale pittore inglese nel corso di un’intervista con Sylvesten.

Se Platone nelle sue Meditazioni paragonerà la pittura  “alla visione del sonno” e nel famoso passo de La Repubblica è descritta come ”un’arte lontana dalla verità perché inganna la visione”, per Deridda “i pittori sono come i ciechi e, come tutti i ciechi, devono avanzare, cioè esporsi, percorrere lo spazio come si corre nel buio. La pittura si situa al di là del visibile, verso l’oscuro avvenire ”.

Sulla loro stessa scia Agnes Varda, che afferma:

Prendiamo per esempio un pittore come Degas, si parla sempre delle sue giovani ballerine. Ma se si guarda bene l’insieme dei suoi quadri, c’è sempre un personaggio che sta per uscire; un piede, una gamba, un lembo di gonna, qualcuno entra nel quadro, appena un po’. Mi è stato detto che tagliava personalmente i suoi  quadri. Li dipingeva e poi li tagliava. Si ha un bel quadro quando  tutto è in ordine al suo posto, tutto è riempito, gli spazi sono perfetti, a destra, a sinistra, in mezzo e sotto c’è sol quello che serve”. Bisogna al contrario comprendere che il quadro non è altro che una parte di quello che non è nel quadro, il fuori quadro, quello che c’è subito prima, non soltanto nella durata, ma anche nell’immagine. Bisogna dare allo spettatore la possibilità di immaginare quello che non vede.”

Con queste annotazioni la regista francese sembra suggerire ai partecipanti alla mostra di osservare i dipinti, lasciandosi andare al di là del visibile, al di là di quello che la tela stessa possa rappresentare.  Anche se proditoriamente il grande August Renoir esclamava “La pittura non si spiega, si guarda.”, una traccia per poter apprezzare al meglio un dipinto la si può mutuare dalle riflessioni sulla fotografia proposte nel suo impareggiabile scritto “La camera chiara” dal grande semeiologo francese Roland Barthes;

 Io non riuscivo a trovare, in francese, una parola che semplicemente esprimesse quella specie di interesse umano; ma in latino, credo, questa parola esiste: è studium, che significa una sorta d’interessamento sollecito.    Il secondo elemento viene ad infrangere  (o a scandire lo studium). Questa volta non sono io che vado in cerca di lui ma è lui che partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge.   In latino per designare questa ferita, questa puntura, questo segno provocato da uno strumento aguzzo, esiste una parola: tale parola farebbe ancora meglio al caso mio in quanto le foto di cui parlo sono in effetti  come punteggiature, talora addirittura maculate, di questi punti sensibili; quei segni, quelle ferite, sono effettivamente dei punti. Chiamerò questo secondo elemento che viene a disturbare lo studium, punctum ; infatti punctum è anche puntura, piccolo buco, macchiolina. Il punctum di una fotografia è quella fatalità  che, in essa, mi punge. (…)  Un dettaglio viene a sconvolgere la mia lettura; è un mutamento vivo del mio interesse, una folgorazione. A causa dell’impronta di qualcosa, la foto non è più una foto qualunque.”    

Quando ho osservato, ad esempio, il bellissimo dipinto di Alessandro Ciambrone che ha donato al Comune di Bacoli, dopo aver applicato lo studium, come suggerito da Barthes, e ammirato la gioiosa esplosione di colori che lo caratterizza, trascinato dal punctum, sono stato colpito dalle forme delle barchette, dipinte dall’artista, che rimandavano alla mia infanzia, come quelle che creavo, quando ero bambino, con i fogli del quaderno. Sono certo che se i visitatori della mostra adotteranno la visione barthesiana, saranno anche loro “trafitti” da qualche particolare di un quadro che catturerà inconsapevolmente la loro attenzione. Il grande di Dario Argento nel suo immaginifico e visionario La sindrome di Stendhal  (1996) ricorda il malore che assalì lo scrittore francese nel 1817 mentre visitava la Cappella Nicolini a Firenze di fronte alle “Sibille” del Volterrano. Caratteristiche di questo malore che colpisce “persone particolarmente sensibili alle opere d’arte” sono: panico, crisi d’identità, svenimento, stato di shock.

Non so se tra i visitatori della mostra ci saranno persone così sensibili alla bellezza dell’arte ma mi auguro che sapranno apprezzare le opere esposte.

Non so, infine, se tra gli artisti che esporranno le loro opere ci saranno pittori come il personaggio che interpretò il “principe della risata” in Totò cerca moglie di Carlo Ludovico Bragaglia (1950), protagonista con la sua inseparabile spalla, Mario Castellani di questo esilarante botta e risposta:

Castellani: Io non capisco che razza di arte è la sua? Astrattista, futurista, esistenzialista

Totò: La mia arte è assenteista, cioè vale a dire, nelle mie opere manca sempre qualcosa. Vedi questa?

Castellani: Cos’è un cippo funerario?

Totò: Profano! Questa è una “Madre col bambino che piange”

Castellani: E dov’è la madre?

Totò:  La madre è uscita: ecco perché la madre piange

Castellani: Si, vabbè, ma io non vedo neanche il bambino

Totò: Ma il bambino, sciocco, è corso dietro la madre!

 

In conclusione, desidero ringraziare per questa lodevole iniziativa Barbara Giardiello, curatrice della mostra, organizzata  in collaborazione con il Comune di Bacoli e Alessandro Ciambrone per l’ideazione dell’iniziativa.

Contributo pubblicato sul catalogo della mostra di pittura “Arte, cinema e poesia per Procida e i Campi Flegrei” – Casina Vanvitelliana – Bacoli – 30 aprile 2022

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