San Michele aveva un gallo di Paolo e Vittorio Taviani– Italia – 1972 – Durata 87’

18 Febbraio 2021 | Di Ignazio Senatore
San Michele aveva un gallo di Paolo e Vittorio Taviani– Italia – 1972 – Durata 87’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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1870. Mainieri (Giulio Brogi), laureando in matematica e di professione gelataio, è un anarchico internazionalista che lotta per dare le terre ai contadini ed abbattere il sordido e feudale potere costituito. Una domenica prova a scuotere le coscienze e con alcuni compagni assalta il comune di una piccola città e diffonde dei volantini inneggianti alla ribellione. Quell’impresa velleitaria suscita negli abitanti solo paura e sconcerto ed, arrestato, è condannato all’ergastolo. Il regime carcerario è molto duro; in una cella d’isolamento non può ricevere visite, usufruire dell’ora d’aria, parlare con gli altri detenuti, leggere e scrivere. Dopo dieci anni di detenzione è trasferito su un barcone in un altro carcere e mentre attraversa la laguna incontra un altro gruppo di detenuti politici con i quali ha un rapido scambio di vedute. Scopre che con il passare degli anni le strategie di lotta erano completamente cambiate e che il movimento anarchico era stato soppiantato dal socialismo e dalle lotte del movimento operaio. Avendo compreso che la sua vita era stata un completo fallimento, si suicida, lasciandosi annegare in mare.

I Taviani, confezionano, un film coraggioso, ambientato (quasi) completamente nella buia e disadorna cella dove è recluso il protagonista. Sin dalle prime battute, Mainieri, per non impazzire, decide di tenere la mente occupata e scandisce, ossessivamente, la giornata. “Primo; parlare ad alta voce. Abituarsi a non aver paura della propria voce.  Cercare il tono giusto,parlare con lentezza, scandire. Secondo: dividere la giornata con ordine; ogni due ore ginnastica. Alle undici del mattino; riunione con i compagni.  Pranzo. Lezione di geometria. Geometria, storia, inglese. Cena. Libera uscita. Dormita di almeno undici ore. Allora cominciamo…”. Nel corso degli anni immagina di riunirsi ancora con Battilana, Negrini, Mannoni e con gli altri compagni internazionalisti ed assume, in fantasia, di volta in volta, le identità dell’uno o dell’altro, discettando con loro sul futuro della rivoluzione. Spavaldo ed un po’ sbruffone, riesce a mantenere un rigido controllo su se stesso, lasciandosi andare, una sola volta nell’arco di tutto il film, ad un piccolo cedimento emotivo. Il suo crollo, inaspettato, giunge quando scopre che i giovani rivoluzionari si ricordano a stento di lui e che i suoi progetti politici appaiono ormai tramontati. Per sottolineare ancor di più il senso di isolamento e di estraneità di Manieri rispetto al nuovo che avanza, i Taviani lo lasciano da solo nella barca che lo trasporta al carcere e colloca gli altri detenuti politici insieme nell’altra. Sullo sfondo la figura dolente di un genitore che segue la figlia nei trasferimenti da un carcere all’altro. Il titolo è un riferimento ad una filastrocca che il protagonista cantava per confortarsi quando era bambino ogni qual volta lo rinchiudevano per punizione in uno stanzino. Dalla novella Il divino e l’umano di Lev Tolstoj.

 

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