Ignazio Senatore intervista Agostino Ferrente

29 Maggio 2019 | Di Ignazio Senatore
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Presentato nella Sezione Panorama del Festival di Berlino, è da domani nelle sale “Selfie”, scritto e diretto da Agostino Ferrente, autore già dell’apprezzato docu-film Le cose belle.

Nell’estate 2014 un carabiniere, pistola in irrompe in una sala giochi per arrestare un latitante. Per lo spavento i ragazzi scappano e il sedicenne Davide Bifolco è colpito alle spalle da un colpo partito “accidentalmente” dall’arma del militare, condannato prima a quattro anni, pena ridotta a due e poi sospesa. Dopo la sentenza, Tommaso, il fratello di Davide, muore cinque giorni dopo d’infarto. Ferrente lascia che Alessandro (Alessandro Antonelli), garzone in un bar, e Pietro (Pietro Orlando), che sogna di fare il barbiere, raccontino i sogni e le speranze di chi vive(va), come Davide, nel Rione Traiano e, piuttosto che scegliere la malavita e i facili guadagni, vorrebbe condurre una vita “normale”. Disincantati e rassegnati, piegati da una vita che li ha già presi duramente a schiaffi, i due, si riprendono con un IPhone, raccontano se stessi e intervistano amici e coetanei.

Non ho scelto un taglio giornalistico e mi sono commosso, racconta Ferrente, nel sentire le loro storie. In questo mio film non ci sono solo le vite dei due protagonisti, ma anche gli amari racconti di ragazzine, figlie di malavitosi, consapevoli che toccherà loro sposare un uomo che andrà in galera per dieci o venti anni. Sono ragazze libere, alle quali nessuno impone il matrimonio, consapevoli delle loro scelte e che accettano questo destino come fosse la normalità. “Selfie” narra anche il delicato rapporto tra padri e figli e punta il dito contro una scuola che, sulla carta è dell’obbligo, ma che, di fatto, non lo è. Alessandro, prosegue il regista, uno dei due protagonisti, l’ha abbandonata a tredici anni dopo che un’insegnante, invece di dargli dei crediti, l’aveva bocciato perché non ricordava a memoria “L’infinito” di Leopardi.

Ma un ragazzo napoletano come lui, vissuto senza il padre, se non va più a scuola e s’arrangia con un lavoro precario, che futuro può avere? Ho voluto dedicare il film a tutti i Davide Bifolco del mondo, a tutte le vittime di pregiudizi classisti. Davide ha subito la stessa sorte di un nero in America, di chi può essere ammazzato solo perché vive in un quartiere di periferia e non in un quartiere bene di una città.”  

Articolo pubblicato su il Corriere del Mezzogiorno 29-5-2019

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