Nel volume “L’analista in celluloide”, pubblicato circa trent’anni fa, analizzavo centinaia di pellicole e sottolineavo come registi e sceneggiatori, mostrando sullo schermo psicoterapeuti più disturbati dei loro pazienti, rassicuravano gli spettatori di essere meno matti di chi li ha in cura.
Non fa eccezione il pasticciato film di Justine Triet che mette in campo Sibyl (Virginie Efira), psicoterapeuta, in analisi da un collega e componente di un gruppo di Alcolisti Anonimi, che molla la professione per dedicarsi alla scrittura.
A lei si rivolge Margot (Adèle Exarchopoulos), giovane attrice, disperata perché incinta di Igor, un attore che deve affiancare in un film, diretto dalla compagna di lui.
Sibyl registra le sedute perché diventino materia del suo romanzo e, in un gioco di specchi, s’identifica così tanto con la paziente che accetta di seguirla sul set e va a letto con Igor.
Nemmeno l’idea del cinema nel cinema, con delle scene girate a Stromboli, riesce a salvare un film confuso alla vana ricerca di una propria identità, al pari della disturbatissima protagonista, Tra i brani “Un giorno come un altro” di Nino Ferrer.
Recensione pubblicata su Segnocinema- N.237- Settembre-ottobre 2022
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