Stanno tutti bene di Giuseppe Tornatore Italia – 1990 – Durata 120’

19 Marzo 2020 | Di Ignazio Senatore
Stanno tutti bene di Giuseppe Tornatore Italia – 1990 – Durata 120’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Con l’idea di fare una sorpresa ai cinque figli sparsi in giro per l’Italia, il settantenne siciliano Matteo Scuro (Marcello Mastroianni), vedovo e pensionato, parte da Castelvetrano, un piccolo paesino in provincia di Trapani e raggiunge Napoli per incontrare Alvaro (Salvatore Cascio), un sedicente funzionario dell’Università di Napoli. Dopo averlo cercato, invano, si dirige a Roma dove vive Canio (Marino Cenna), un incolore portaborse di un onorevole che gli ha lasciato sempre credere di essere un politico in carriera. Matteo fa poi tappa a Firenze da Tosca (Valeria Cavalli), un’anonima modella di biancheria intima che gli ha, invece, raccontato di essere un’attrice famosa e successivamente, va a Milano da Guglielmo (Roberto Nobile) un modesto musicista che suona la grancassa in un’orchestra ed, infine, raggiunge a Torino Norma (Norma Martelli) una telefonista, divisa dal marito, che lo ha illuso fingendo di essere una dirigente della SIP. Matteo inizia a prendere contatto con la realtà e comprende che le fantasie ed i sogni che aveva coltivato in tutti quegli anni per ogni figlio erano errate. Dopo il lungo viaggio, ritorna a casa e sulla tomba della moglie Angela e riferendosi ai suoi figli, commenta con un laconico: “Stanno tutti bene”.

In questo film, che ruota tutto sulla contrapposizione tra inganni e verità, illusioni e disillusioni, sogni infranti e dura realtà, Tornatore ci propone l’amaro e sconsolato ritratto di un pensionato (interpretato da un magnifico Marcello Mastroianni appesantito da un eccessivo trucco) che per tutta la vita si è illuso che i figli avessero fatto carriera e sfondato nella vita. Animo candido e romantico (ha messo ai figli i nomi di personaggi delle opere liriche) per tutta la vita, non ha mai voluto fare i conti con la realtà, costringendo così i figli a mentirgli per proteggerlo e non dargli il minimo dispiacere. L’ingresso in campo di una solare Michele Morgan, nei panni di un’anziana che  vive in una casa di riposo e che ha fatto i conti con l’abbandono dei figli, diviene l’elemento di svolta che permette all’anziano, cocciuto ed ingenuo protagonista di aprire gli occhi: “Vede Matteo, talvolta è molto più facile fare finta di niente, di non capire e di non cercare chiarimenti. Può essere anche divertente, altrimenti bisogna aspettarsi di tutto anche di essere rifiutati dai propri figli.” e successivamente  “Ci ripensi, non continui il suo viaggio. Lasci perdere”. Matteo prova allora ad aprire gli occhi ed a tuffarsi nella realtà ma quando Canio e Guglielmo, in una cena dove dovevano partecipare anche gli altri figli, gli svelano che Alvaro è morto suicida, lui se ne ritrae spaventato e si rifugia nuovamente nel suo mondo popolato dai sogni. Tornatore omaggia Fellini (una gita di pensionati in una Rimini invernale) e regala allo spettatore un sogno/incubo del protagonista ricorrente (una gigantesca sfera di color nero si libra nel cielo e cattura i bambini che sono sulla spiaggia). Di tanto in tanto spezza la narrazione con un fermo immagine e mostra il protagonista che si rapporta con i figli, immaginandoli come erano piccoli.(“Uno i figli quando sono piccoli se li immagina grandi; quando diventano grandi, li vede sempre bambini.”). Tornatore non evita scivoloni nel melodramma, pecca per un moralismo strisciante e di maniera e chiude la vicenda con Matteo che, prima di morire, consiglia al nipote: “Non educatelo a diventare qualcuno; insegnategli a diventare uno qualsiasi”. Scritto e diretto dal regista con Tonino Guerra. Enfatica la colonna sonora di Ennio Morricone. Remake nel 2011 diretto da Kirk Jones con Robert De Niro.

 

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