“Stretta la foglia, larga la via, l’amor mio si chiama schizofrenia” in Comunità Terapeutiche per la Salute mentale (a cura di Angelo Malinconico e Alessandro Prezioso) – Franco Angeli Editore – 2017

14 Maggio 2017 | Di Ignazio Senatore
“Stretta la foglia, larga la via, l’amor mio si chiama schizofrenia” in Comunità Terapeutiche per la Salute mentale (a cura di Angelo Malinconico e Alessandro Prezioso) – Franco Angeli Editore – 2017
Scritti sul cinema pubblicati su altri volumi
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“E’ chiaro che una persona folle ha perso il rapporto con la realtà  sociale. Ma esistono molti livelli di follia. A me interessa la follia  normale; che mi è ancora più familiare, che si manifesta nella  sofferenza, nell’infelicità. Questo folle molto comune, dominato dall’angoscia, per conservare una certa normalità sociale (è terrorizzato di perderla) si controlla, si reprime, diventa razionale. E’ appunto l’uomo razionale e non ci può essere la fantasia Inconscia in un soggetto simile. Dove domina la paura non c’è la bellezza. Se ho un rapporto con te, nel momento in cui mi agito, mi angoscio, immediatamente creo una barriera, il nostro rapporto diventa più formale, più esteriore, l’angoscia uccide un rapporto, lo paralizza, impedisce il desiderio. La possibilità di un rapporto affettivo con una donna pretende un minimo di sanità mentale e poi  di fantasia per  andare oltre la bellezza.” (Marco Bellocchio) 

“La follia fa paura perché si sa che si arriva a se stessi. Per tutta la  vita uno crede di conoscere il valore delle cose, per quel che può saperne, o comunque si abitua a confidare in certe cose, e anche se non si può sapere tutto, queste offrono la base di alcune certezze. Ora, sono tutte queste certezze ad essere perdute. Normalmente avete la certezza della sedia, la certezza che potete sedervi. Ma se voi non avete più queste certezze e scoprite improvvisamente che vi  sedete in un immenso vuoto, tutto diviene spaventoso. Io dico che non bisogna mai essere certi di niente, ma è necessario anche dire che senza certezza è impossibile vivere.” (Roman Polanski) 

“Quello che mi colpiva di più nelle cose che leggevo, era il disagio che si produceva non solo all’interno del nucleo familiare, quanto quello che nasceva nei confronti della società esterna. Mentre nella società rurale e contadina, nei paesi, “il matto” ha un suo riconoscimento: è quello che segue la processione o che staziona sulla piazza del paese, insomma in qualche modo gli viene riconosciuto un ruolo, nella società post-industriale, quel tipo di figura non ha nessuna collocazione. E’ un elemento di disturbo e il desiderio generale è quello di vederlo allontanato, rinchiuso. Il titolo del film nasce proprio da lì, ascoltandoli, relazionandomi con i pazienti. La definizione “senza pelle” è esattamente quella: la pelle è il nostro ultimo confine, poi c’è il resto del mondo. Per loro è come se non ci  fossero confini, entrano in relazione con tutto. Il film ruota proprio attorno all’idea di mettere a contatto questa sensibilità con chi, al pari di me, prima di frequentare la Comunità, non era preparata a comprendere chi fosse realmente il “matto”.(Alessandro D’Alatri) (3)

1.Lo spettatore ed il dispositivo cinematografico

“Il soggetto che parla qui deve riconoscere una cosa: gli piace uscire da una sala cinematografica. Ritrovandosi nella strada illuminata e quasi deserta (ci va sempre di sera e lungo la settimana) e dirigendosi mollemente verso qualche caffé, cammina in silenzio (non gli piace parlare subito del film che ha appena visto), un po’ intorpidito, goffo, infreddolito, insomma, assonnato: ha sonno, ecco a cosa pensa; nel suo corpo si è diffuso un senso di sopore, di dolcezza, di calma: languido, come un gatto addormentato, si sente un po’ disarticolato, o meglio irresponsabile. In breve, è evidente, esce da uno stato d’ipnosi.(…) Dal cinema si esce spesso proprio così. Come vi entra? Fatta eccezione per il caso, a dire il vero sempre più frequente, di una ricerca culturale ben precisa (film scelto, voluto, cercato, oggetto di una vera e propria vigilanza preliminare), si va al cinema approfittando di un momento di ozio, di disponibilità, di vacanza. Tutto si svolge come se, prima ancora di entrare in sala, si sommassero le condizioni classiche dell’ipnosi; vuoto, ozio, disimpegno; non è davanti al film o a causa del film che si sogna; inconsapevolmente, si sogna prima ancora di diventare spettatori. C’è una “situazione da cinema”, e tale situazione è pre-ipnotica.”  Con queste acute riflessioni Roland Barthes (4) ci ricorda come la fruizione della pellicola cinematografica provochi nello spettatore uno stato emotivo così suggestivo che può essere paragonato ad uno stato crepuscolare, simile a quello pre- ipnotico. Identificazione, proiezione, regressione sono solo alcuni dei meccanismi psicologici che scattano nel corso della visione di un film. Il buio della sala crea nello spettatore cinematografico uno stato di “rilassamento”, uno stato “oniroide”, un particolare “sonno da svegli” che permette, a chi è in sala, di immergersi in quella realtà fittizia prodotta dal mondo della celluloide. L’immedesimazione degli spettatori in sala è tale che Gian Piero Brunetta  (5) cita un brano tratto da Jorge Amado che, nel suo romanzo “Sudore”, racconta: “Nessuno capiva perché lo spagnolo avesse preso a pietrate, in silenzio lo schermo, lo schermo del cinema in uno dei momenti di maggiore drammaticità del film. Stavano presentando una pellicola americana sulla rivoluzione russa. Dei rivoluzionari bruciavano palazzi, distruggevano case, uccidevano molta gente, tagliavano teste, mutilavano bambini, facevano piangere le donne che assistevano allo spettacolo. Lo spagnolo diceva a chi gli stava vicino: “Non è stato così, è un’infamia”. Poi gridò. Nessuno lo sentì. Uscì prima della fine, ma tornò il giorno dopo con le tasche piene di sassi. E, nel momento esatto in cui, con le donne che rabbrividivano, il marinaio con la fascia rossa legata al braccio, levava una sciabola su una bambina di pochi mesi che rideva innocente, le pietre incominciarono a piovere, rompendo il telone. Accesero le luci.  In prima fila un uomo dalla bella testa grigia, con una vena bluastra chiaramente visibile che gli segnava la fronte, diceva con voce calma: “E’ un’infamia! Le cose non sono andate così!” La polizia lo portò via.”  

  1. Cinema e narrazione

 Le riflessioni proposte sui meccanismi che scattano nel corso della visione del film ci ricordano che parimenti al processo terapeutico, la fruizione di una pellicola mette in moto massicce quote d’identificazioni. A me piace pensare che il modo di guardare un film è la spia di come un terapeuta sta in seduta.

“Esistono film che sono come spazi chiusi: non lasciano il minimo spazio vuoto tra le singole immagini, non permettono di vedere ciò che è rimasto “fuori” dal film, non consentono agli occhi e ai pensieri di muoversi liberamente. In questo genere di choc visivi lo spettatore non può riversarsi nulla di proprio, nessun sentimento, nessuna esperienza. E si esce dal cinema con un senso di delusione. Solo i film che lasciano spazi vuoti tra le immagini raccontano una storia, ne sono convinto, perché una storia si produce anzitutto nella testa dello spettatore o dell’ascoltatore. E gli altri film, quelli a sistema chiuso, fingono solo di raccontare una vicenda. Seguono la ricetta della narrazione ma usando ingredienti senza gusto.”

Con queste sue acute annotazioni Wim Wenders (9) sembra consigliarci che, nella stanza della terapia non dobbiamo posizionare la nostra mente in direzioni precise ma lasciarla vagabondare senza meta, lasciando qua e là degli spazi “aperti”. Sintonizzato sulla sua stessa lunghezza d’onda Jean Luc Godard  (10) affermava: “Ci sono due generi di artisti: alcuni camminano per la strada a capo eretto, guardando dritto in avanti. Osservano, progettano ed organizzano: i loro lavori sono interessanti, efficaci, ben svolti e talvolta anche splendidi. Questo è il gruppo dei sempre ammirati. Poi c’è l’altro tipo, quelli che camminano a testa bassa, persi nei propri pensieri e facendo sogni ad occhi aperti. Ogni tanto sono costretti a sollevar lo sguardo, sempre all’improvviso, e di colpo lanciano al mondo rapide occhiate trasversali. Questo è il gruppo che vede veramente: per quanto eccentrico o confuso sia il loro stile, essi vedono con meravigliosa chiarezza”. Prendendo spunto da queste illuminanti riflessioni, da anni invito i giovani terapeuti a coltivare la capacità di essere nella stanza della terapia ed altrove e suggerisco loro di non posizionare lo sguardo secondo orientamenti pre-confezionati, caratterizzati da un sistema di regole convenzionali ma di essere pronti ad accettare che l’inatteso e l’imprevisto ci colga e ci rapisca.

  1. Cinema e follia

Dopo queste digressioni sui possibili collegamenti esistenti tra la fruizione del dispositivo cinematografico ed il processo terapeutico, proverò a tracciare, sinteticamente,i complessi rapporti tra cinema e follia. Per Domenico Matteucci, se si passa in rassegna la storia del cinema è impossibile trovare un racconto nel quale il protagonista non sia sottoposto a qualche genere di sofferenza. “Ciò è riconducibile alla struttura stessa del racconto che per sua natura ha una struttura sadica. Per quanto strano possa apparire è un boia,un torturatore che si rivolge ad un pubblico di voyeurs” .Sulla scia di queste provocatorie affermazioni non ci stupisce che il mondo della celluloide sia sempre stato affascinato dai temi legati alla sofferenza umana.  Non a caso, già nel 1919,nel celebre Il gabinetto del dottor Caligari, compariva un personaggio, che altri non era che un direttore di manicomio, che, sul finale del film mostrava i segni del suo cedimento mentale. Nel 1925, in “Misteri di un’anima”, Pabst ci regala la prima rappresentazione della “cura analitica” mostrandoci uno psicoanalista che guarisce un paziente, vittima di una nevrosi fobica, ossessionato da tutti gli oggetti di forma appuntita. Il cinema, fedele alla cultura psichiatrica dominante dopo aver riletto il malato mentale, come vittima di forze pulsionali che prendono il sopravvento sulla sua parte cosciente e razionale, ha sottolineato di volta in volta i diversi fattori che potevano influire sulla genesi della malattia mentale; dal ruolo schizofrenogeno della madre (Frances, Santa Sangre) ed alle influenze dell’intero gruppo familiare (Gente comune) fino alla riscoperta dei cosiddetti fattori traumatici (Il principe delle maree) Va sottolineato come alcuni registi, pur mostrando di solito un grande rispetto e compassione per chi è affetto dal disagio mentale, ha spesso utilizzato la figura del folle, come un comodo espediente per confezionare pellicole seriali e ripetitive o per chiudere una storia già traballante e priva di originalità. Altri cineasti, affascinati dagli aspetti romantici della pazzia, hanno invece mostrato un atteggiamento molto critico, nei confronti di chi è deputato alla cura ed all’assistenza di chi è afflitto da disturbi psichiatrici. Qualche regista l’ha raffigurato mentre s’aggira per i corridoi dell’Overlock Hotel con gli occhi sgranati e con la mente completamente in subbuglio (Shining), chi in preda a degli incubi (In dreams) o a delle allucinazioni (Repulsion, Image, Apri gli occhi) . Ricoverati in manicomio (Oh Serafina,!,  Spider, Matti da slegare La casa dei matti, A beautiful mind, La vacanza, Il corridoio della paura), in una struttura residenziale (Colpo di luna) in una casa famiglia (Elling, Ivo il tardivo) od in una lussuosa clinica privata (Ragazze interrotte, Il diario di una schizofrenica, La tela del ragno) questi soggetti trascinano la loro esistenza perennemente in lotta con i propri fantasmi. C’è chi è affetto da un delirio paranoideo (Chi è Harry Kellerman e perché parla male di me) di gelosia (L’inferno) erotomanico (Valeria dentro e fuori) o mostrano di avere uno sdoppiamento della personalità (Doppia personalità, Psycho).  Dall’horror (Amanti d’oltretomba, Buio Omega) al giallo (Il coltello di ghiaccio, Gatti rossi in un labirinto di vetro) dal giallo-horror (La casa con le scale nel buio, Mirror – Chi vive in quello specchio?) alla commedia (Cervellini fritti impanati, La sai l’ultima sui matti, Se tutto va bene siamo rovinati) al drammatico (Come in uno specchio, L’inquilino del terzo piano) la rappresentazione del folle non si è mai cristallizzata ma si è arricchita nel tempo di impercettibili sfumature. Psichiatri, psicoterapeuti e psicoanalisti provano a sradicare la follia dalla  mente di qualche paziente e non disdegnano d ricorrere a presidi di stampo medioevale come l’ESK-terapia (Frances) o la lobotomia (Improvvisamente l’estate scorsa). Il più delle volte queste pellicole finiscono tragicamente; c’è il “folle” chi si macchia di qualche delitto (Les biches – Le cerbiatte, Il colore della notte) chi naufraga definitivamente nella pazzia (Il corridoio della paura, Daniela e Maria, una storia d’amore, Senza pelle) o decide di togliersi la vita (La ragazza di Trieste). Generalmente il clima che circola in queste pellicole è cupo e senza speranze, ma il cinema ci ha anche regalato storie con un finale meno drammatico e disperato e mostrato dei personaggi che riescono in qualche modo a lasciarsi alle spalle deliri ed allucinazioni (A beautiful mind, Ragazze interrotte) ed a liberarsi dei propri fantasmi ed a programmarsi una vita migliore (Elling, Salto nel vuoto). Un capitolo a parte meritano gli artisti folli ((A beautiful mind, Brama di vivere, Shine), i matti simpatici (Tutte le manie di Bob, K-Pax, Harvey), quelli che precipitano nella follia in seguito ad un trauma (La leggenda del Re pescatore, Il diavolo nel cervello) alla disperata ricerca d’amore (Senza pelle, Benny e Joon) e quelli che s’innamorano di un’altra ricoverata (Angel Baby, Daniele e Maria, una storia d’amore, David e Lisa).

  1. Frammenti di un discorso cinematografico

Dopo aver rimandato il lettore ai volumi da me dedicati ai rapporti tra cinema e psiche, più che sintetizzare le trame più significative di qualche film, credo sia più suggestivo proporre una sorta di blob cinematografico e dar voce ad alcuni personaggi, con la mente sconnessa ed ormai in frantumi, che, nel corso della narrazione cinematografica, hanno elaborato dubbi ed incertezze e messo a nudo le proprie fragilità, paure ed ossessioni.

“Ho tutte le caratteristiche di un essere umano; carne, sangue, capelli ma non un solo chiaro identificabile sentimento, a parte l’avidità ed il disgusto. Qualcosa di orribile sta succedendo dentro di me e non so il perché. Mi sento letale, sull’orlo del delirio. La mia maschera di normalità sta per scivolarmi di dosso.”  (American psycho)

“Sai la follia è un folletto che va e viene, tac!, sulla testa di quello, tac!, sulla testa dei quell’altro, magari a distanza di sue generazioni. Fatto sta che un giorno cominciò a mettersi in testa un’idea, una pazzia, un cavillo. In fondo è sempre per un cavillo che s’impazzisce… Cominciò a temere che la sua faccia gli scivolasse via, gli scendesse lungo il petto, fino ai piedi, per perdersi sul pavimento. Hai capitò? Un’idea, una fissazione! Allora cominciò a specchiarsi sempre più di frequente per controllare, magari, se gli occhi, se il naso e la bocca non fossero già scesi di un centimetro. Pensa con una rigetta tutti i giorni controllava la distanza tra la punta del naso e l’attaccatura dei capelli. Guarda che questa sua mania ha una spiegazione psichica molto evidente. La paura di vedersi scivolare la faccia non è altro che la paura di perdere la propria identità, perdere se stessi.” (Anima persa)

“Io sono solo e mia madre fuori dalla porta da quindici anni e so che sta sulla porta in piedi, sugli attenti e non si muove e neanche io. Una vita contemplativa, la mia, inerte, immobile così la morte passando, scambiandomi per una statua non si accorgerà di me. Ecco, vede, mi sto esercitando a trattenere il respiro più  a lungo.” (La balia)

“Non lo so. Non ho mai sentito gridare dentro la testa. Persone che litigano. Dico dentro la testa ma non ne sono sicura. Vai a saperlo! Qualche volta cantano, si ingiuriano, fanno dei discorsi interminabili. Non si rivolgono sempre a te ma quando si rivolgono a te, è peggio. Gridano più forte. Ho perfino l’impressione che non l’abbiano particolarmente con me. Gridano e basta. Io non esisto. Sono stanchi di gridare, l’uno contro l’altro, cercano qualche estraneo. Voglio restare con voi, insieme a te e a Paul. Voglio che mi proteggiate. Sono stanca di essere come sono. Non ne posso più. Non posso vivere senza tu e lui.” (Les biches)

“I matti ricchi non li tengono qui. Quelli stanno nascosti nelle cliniche private. Per forza, guai se i poveracci sapessero che pure i ricchi diventano matti, ci verrebbe da piangere.” (La classe operaia va in paradiso)

 “Ho troppo paura. E’ come se fossi in una profonda gola di montagna. Da ogni parte la neve mi circonda. Basta il minimo suono e le neve potrebbe piombarmi addosso e seppellirmi vivo.” (Come le foglie al vento)

“Ho la netta impressione che tutti gli avanzi della terra vengano messi da parte per essere ingoiati tutti dalla mia bocca. Tutti i rifiuti della terra, capite? Una voce mi dice: “Ci stiamo impadronendo di te. La tua testa. Ci stiamo avvicinando.. Ormai stiamo nella tua mente.” Se mi attaccano li precederò, li attaccherò di sorpresa. Io non sono pazzo; sono loro che vogliono farmi ingoiare tutti i loro avanzi. Quando uscirò di qui li farò vedere io. Vi farò ingoiare io tutti i vostri rifiuti, fino a soffocarvi.” (Hans)

E’ possibile che un uomo finisce in manicomio senza saper niente, senza aver fatto niente? Cosa dice la Legge? Qui è peggio della galera. Almeno lì presto o tardi un processo te lo fanno.”  (Oh Serafina!)

 “E’ solo una piccola sciocchezzuola. Devo prendere una pillola ogni sei ore, altrimenti mi sento strano. Niente di grave. Elevata  schizofrenia maniacale con rabbia narcisistica involontaria.”(Io, me & Irene)

“Certe volte vengo travolta da cose troppo grandi per me. E’ come se fossi travolta da una forza sconosciuta di cui ho paura ed alla quale non so sottrarmi. Certe volte s’impossessa di me, mi trasforma, mi suscita delle sensazioni che mi fanno soffrire. Non so come spiegarmi, poi ritorno quella di sempre. Ormai non distinguo più i sogni dalla realtà.” (Madeleine Anatomia di un incubo)

“I pazzi, i cosiddetti pazzi hanno dei poteri che noi non abbiamo più. Sono come dei primitivi. Noi vediamo e sentiamo solo ciò che è fisico e tangibile. Loro invece sentono e vedono anche quello che non si vede e non si  tocca. I popoli antichi avevano un timore riverenziale verso i pazzi; cercavano di scoprire da essi delle verità per loro ignote. Oggi invece li releghiamo lontano dagli occhi, nei manicomi e così rinunciamo a conoscere molte cose, rinunciamo a conoscere noi stessi, rinunciamo a conoscere una realtà più profonda.” (L’ospite)

“Questa sono io…Ecco cosa siamo…Lei è diversa da me, io sono diversa da lei…Un giorno mi sono resa conto che non riuscivo più a distinguere il mondo dei sogni dal mondo reale. Mi sono sentita come se non fossi più una persona sola ma due. Da allora non so più chi sono…” (Passion of mind)

“Sono trascinato dalla coda dei miei discorsi, che ci posso fare. Devo seguire le mie parole, le devo rincorrere. Non lo so.. Essere pazzo non è come essere cieco; i pazzi camminano, saltano, ballano. Io parlo, parlo, parlo, parlo. Sento le parole e le devo dire. Devo svuotare la mia testa di tutte le parole. Qualcosa è successo, qualcosa non funziona.” (La pazzia di re Giorgio)

“Certi matti ci hanno il cervello come una stanza buia ed il buio fa paura. Si può morire per la paura del buio. L’istituto con la corrente elettrica gli accende la luce e li fa rifiatare. La corrente passa in mezzo al cervello per riaccendere la lampadina del cervello. E’ come il colpo che dai al mangiadischi quando s’incanta il disco. Mia madre è incantata.” (La pecora nera)

 “I cento cancelli servono a proteggere l’istituto, l’istituto a proteggere i matti, ma i matti a che servono?” (La pecora nera)

 “Max, è una pura follia! Devi rallentare! Stai perdendo di vista il punto! Max, ti rendi conto? Fissati con qualunque numero e te lo troverai continuamente sulla tua strada! Conterai 216 passi dalla tua porta di casa all’angolo del palazzo; passerai 216 secondi in ascensore per arrivare al piano terra. Quando il tuo cervello diventa ossessionato da qualcosa tende a non registrare nient’altro e a concentrarsi esclusivamente su quel pensiero! 320, 450, 160 … quello che ti pare… Il numero che hai scelto è il 216? Bene! Non farai altro che trovartelo davanti, mio caro!“ (Pi greco Il teorema del delirio)

”Quanti giorni ho perso? Come posso tornare al punto di partenza? Sono fuori di una casa, cerco un modo per entrare ma la porta è chiusa a chiave e le finestre sono sbarrate ed io ho perso la chiave. Non ricordo più come sono fatte le stanze o dove abbia messo le cose. E mi chiedo: se osassi entrare, riuscirei mai a trovare l’uscita? E’ come in quel gioco in cui unisci i punti  con la penna. Certe notti riuscivo a unirne anche tre o quattro ed altre notti mi sembravano così lontani da non capire dove fosse il punto successivo o se davvero esistesse un punto successivo.” (Proof)               

“Vede noi possiamo controllare le nostre emozioni, loro invece, non sanno gestirle, sono continuamente esposti. E’ come se non avessero la pelle…La pelle é il nostro ultimo confine, poi c’è il resto del mondo. Loro non hanno confini, un po’ come i bambini.” (Senza pelle)

 “Stretta la foglia, larga la via, l’amor mio si chiama schizofrenia.” (Tutte le manie di Bob)

“Sono stato investito dalla onde elettriche; non è che mi si è rotta una vena nella testa? Adesso mi occupo di comunicazioni. E’ una forma che esercito tra i vari continenti, una forma di suggestione. Sono io che faccio sposare le principesse e che faccio venire i terremoti. Sono un medium magnetico, sono l’inventore della macchina ad introspezione. Adesso la alzo questo tavolo senza toccarlo. “(Un viaggio chiamato amore)

  1. Conclusioni

“Apertura 14.30. A quell’ora io entravo, nella caverna dei giganti, al cinema. Arrivavo di corsa. E sempre in anticipo. Due ore e un quarto, due e venti. Guardavo le fotografie del film che stavo per vedere, dei prossimi…Lunedì, giovedì…(…) Due e ventisette, due e ventotto. Quando l’orologio per strada, davanti ai marmi della macelleria, segnava le due e mezzo, appena la lancetta nera si era fermata, che stava ancora vibrando, io incominciavo a battere i pugni sui vetri della porta chiusa. Per il momento la maschera continuava a guardare il vuoto. Fumava mozziconi, li teneva con la punta dell’indice e del pollice. Io lo odiavo. Lui fingeva di non vedermi neanche. Io battevo più forte, indicavo l’orologio nella strada. Finalmente la porta si apriva. Ero il primo alla cassa, il primo a entrare. Dentro odori violenti. Nausea, iniziazione. Mi sedevo e dovevo ancora aspettare. Pregavo lo schermo: “Incomincia”. Imploravo. Finché le lampade si spegnevano lentamente e veniva il buio, e poi nel buio esplodeva la luce. (…) Mi sembrava di poter vedere tutto quanto per la prima volta. Le persone, i paesaggi, le grandi solitudini, le folle. Che cosa restava fuori dal cinema? Il deserto.” E’ il prologo del romanzo Lunga notte di Emilio Tadini, pubblicato nel 1897 (11) che descrive, mirabilmente, quali emozioni la Settima Arte possa suscitare nello spettatore. E se anche noi cinefili, come il personaggio di Tadini, ogni qual volta ci apprestiamo ad assistere alla proiezione di una pellicola, travolti dalla sua stessa travolgente passione, non fossimo altro che “folli”?

Note

  1. Ignazio Senatore: “Il bello del cinema? I pop corn. Le più belle riflessioni sul cinema”- Falsopiano Edizioni, 2013, pg 105
  2. Ignazio Senatore: “Il bello del cinema? I pop corn. Le più belle riflessioni sul cinema”- Falsopiano Edizioni, 2013, pg 105, 106
  3. Ignazio Senatore: “Alessandro D’Alatri: Il mio cinema” – Falsopiano Edizioni, 2015, pg 36, 37
  4. Roland Barthes: “Sul cinema”, Il Melangolo, 1994, pg 145
  5. Gian Piero Brunetta: Buio in sala – Marsilio Editori , 1989, pg 97, 98, 348
  6. Bernardo Bertolucci: “La mia magnifica ossessione” – Garzanti – 2010, pg 68
  7. Ado Kirou: da Francesco Casetti: “Teorie del cinema”, Bompiani, 1993, pg 49
  8. Ignazio Senatore: “Il bello del cinema? I pop corn. Le più belle riflessioni sul cinema”- Falsopiano Edizioni – 2013, pg 30
  9. Ignazio Senatore: “Il bello del cinema? I pop corn. Le più belle riflessioni sul cinema”- Falsopiano Edizioni, 2013, pg 95
  10. Ignazio Senatore: “Il bello del cinema? I pop corn. Le più belle riflessioni sul cinema”- Falsopiano Edizioni, 2013, pg 13, 14
  11. Gian Piero Brunetta: Buio in sala – Marsilio Editori , 1989, pg 187

 

Bibliografia consigliata

Rodolfo De Bernart e Ignazio Senatore: “Cinema e terapia familiare” – Franco Angeli – 2011

Ignazio Senatore: “Roberto Faenza Uno scomodo regista” – Falsopiano Edizioni – 2011

Ignazio Senatore: “Conversazione con Giuseppe Piccioni” – Falsopiano Edizioni – 2013

Ignazio Senatore:  “Cinema (italiano) e psichiatria – Zephyro Editore – 2013

Ignazio Senatore:  “Perché si danza quando si ha voglia di baci?. Le più belle frasi dei film d’autore” – Falsopiano Edizioni – 2013

Ignazio Senatore: “Il bello del cinema? I pop corn. Le più belle riflessioni sul cinema”-  Falsopiano Edizioni, 2013

Ignazio Senatore: “Daniele Luchetti racconta il suo cinema” – Falsopiano Edizioni – 2014

Ignazio Senatore: (a cura): “I registi della mente ed altre storie” – Falsopiano Edizioni- 2015

Ignazio Senatore:  www,cinemaepsicoanalisi.com

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