Tutto o niente (All or nothing) di Mike Leigh – G.B – 2002 – Durata 128’

19 Marzo 2020 | Di Ignazio Senatore
Tutto o niente (All or nothing) di Mike Leigh –  G.B – 2002 – Durata 128’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Phil (Timothy Spall), tassista infelice e sovrappeso, vive con Penny (Lesley Manville) la sua compagna, cassiera di un supermercato, con la figlia Rachel (Alison Garland), un’adolescente obesa che fa le pulizie in una casa di riposo ed il figlio Rory (James Corden) un adolescente grassoccio, apatico e sfaccendato che trascorre le giornate a guardare la TV. La loro vita è fatta di rinunce e di sacrifici ed il loro unico obiettivo è quello di far quadrare i conti per arrivare a pagare a fine mese le bollette e l’affitto. Loro vicini di casa sono Donna (Helen Coker), una ragazza che ha una tempestosa relazione con il fidanzato che l’ha messa incinta e la giovane ed irrequieta Samantha (Sally Hawkins), figlia di Carol (Marion Bailey), una donna perennemente attaccata alla bottiglia. Rory si sente male ed è ricoverato in urgenza in ospedale e Phil e Penny, trovano la forza di ritrovarsi e di riscoprire il loro amore.

Cantore degli umili e degli oppressi, con questa toccante pellicola, Leigh ci regala un altro spaccato della degradata periferia di Hackney, a nord di Londra e ci mostra dei proletari induriti e svuotati che lottano disperatamente per non essere sconfitti dalla vita. Phil non è un tassista eroico e muscoloso come Francis, il protagonista di Taxi driver di Martin Scorsese, ma una persona grassa, con i capelli lunghi e l’aspetto trasandato che carica ogni giorno persone scoppiate, nevrotiche e deluse come lui. Per tutto il film Phil si aggira sullo schermo come uno spettro e, depresso e mutacico, assiste impotente in casa ai frequenti battibecchi che si scatenano tra Rory e la moglie Penny, limitandosi ad osservare, in silenzio e con sguardo sconsolato, la tristezza che corrode, giorno dopo giorno, la propria famiglia. Seduto in un bar, con il boccale di birra a fargli compagnia, con ferma rassegnazione, si rivolge ad un collega e gli dice: “E’  buffo. L’amore è un rubinetto che perde. Un bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Se non si è insieme, si è soli. Si nasce soli, si muore soli e non c’è niente da fare.”.  Per non pensare ai debiti, al matrimonio andato a rotoli, non gli resta che isolarsi da tutti e percorrere diversi chilometri con il suo taxi per raggiungere il mare, dove finalmente, ritrova un po’ di pace e di ristoro. Ed è proprio durante una delle sue fughe che Rory si sente male. Di corsa si precipita in ospedale e, dopo aver ingoiato l’ennesime lamentele della moglie, esplode, urlandole in faccia la sua verità: “Mi tratti come fossi un pezzo di merda. Non mi ami più. E’ meglio che me ne vado.  Secondo me sei infelice; io non so fare niente, mi guadagno quattro soldi, so che sono una delusione per te, lo so che ti do ai nervi. E’ come se fosse morto qualcosa, mi sento come un albero secco che non ha più acqua. Quando ci siamo conosciuti, io non ci potevo credere; una carina come te che si metteva con uno grasso come me. Tutti ci guardavano ed io mi sentivo tremare le ginocchia. Allora eravamo insieme e ci bastava, ma se adesso non mi vuoi più, non abbiamo niente. Non siamo neanche una famiglia.” Ma è questa sua reazione, sincera ed appassionata che ridà linfa ad un rapporto impantanato nelle sabbie mobili e funge da collante per mantenere unita una famiglia allo sbando. La malattia di Rory finirà per cementare e rinsaldare l’intero gruppo familiare e farà riemergere affetti che erano stati ricoperti da troppo tempo dalla polvere. Leigh non è mai lezioso ed i diversi personaggi della vicenda si affrontano a muso duro con un linguaggio diretto e tagliente, come testimonia questo commento che Donna rivolge alla madre perennemente sbronza: “Sprechi solo spazio”.  Un film che non lascia spazio a facili sentimentalismi e che allunga la scia degli anti-eroi del cinema inglese che si incuneano nel cuore e rimangono lì per sempre.

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