Un treno pieno di ricordi

14 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Un treno pieno di ricordi
Senatore giornalista
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Per l’immaginario collettivo il 1946 è l’anno del referendum che sancì la nascita della repubblica italiana e la sconfitta della monarchia. C’è chi lo ricorda, invece, per la vittoria di Gino Bartali al Giro d’Italia, per il trionfo di Roberto Rossellini con “Roma città aperta” al Festival di Cannes od, infine, per la comparsa nelle edicole di “Confidenze” e “Grand Hotel”, i primi fotoromanzi nazional-popolari: Ma per Paola Zeni e per altre centinaia di bambini napoletani il 1946 resterà per sempre l’anno di quel viaggio interminabile che li portarono, di notte, ad attraversare l’Italia per essere ospitati da alcune famiglie comuniste del nord Italia.

Napoli, allora, era devastata dalla fame e dalla miseria ed i bambini giravano scalzi, infreddoliti e denutriti per le strade della città. Al tempo, Maurizio Valenzi ed altri militanti al Partito Comunista Italiano per garantire ai figli degli iscritti un piatto caldo, dei vestiti ed un riparo sicuro contattarono alcuni dirigenti del PCI delle altre regioni d’Italia. Nacque così l’idea di un soggiorno dei bambini, della durata all’incirca di quattro mesi presso alcune famiglie comuniste che risiedevano al Nord.

Paola Zeni mentre stringe tra le dita una sigaretta che l’avvolge in una nuvola di fumo, si lascia disgregare dal ricordo.

“Mio padre, un convinto antifascista, non essendo iscritto al partito non lavorava da molti anni e non riusciva a garantire un pezzo di pane ai suoi sei figli a sua moglie ed alla nonna. Ricordo che la prima volta che partii avevo cinque anni ed in quel treno ero in compagnia delle mie due sorelle; Iris di sei e Gigliola di otto. Ad accoglierci alla stazione di Modena, in una notte dal freddo polare, un mucchio di persone. Io fui scelta da un vecchio molto magro, con capelli e barba bianca che mi fece sedere sul manubrio della sua bicicletta e mi portò nella sua fattoria. Le mie due sorelle furono, invece, ospitate in un paese vicino. In quei quattro mesi dormii finalmente in un letto soffice e caldo e fui coccolata dall’anziana moglie di quel signore. Ricordo che una volta fui portata ad una fiera e quasi per miracolo, tra la folla, incontrai Iris e Gigliola. Quando le rividi, fu un’emozioni fortissima. Quanto rientrammo a Napoli la situazione economica della nostra famiglia non era mutata di molto; per comprare alla borsa nera un po’ di cibo mio padre, ancora disoccupato, aveva venduto mobili ed i pezzi del corredo. Otto mesi dopo partii da sola per Alessandria, in Piemonte e fui scelta da Giuseppina, una donna dolcissima che mi voleva molto bene e mi tenne con sé due anni e mezzo, tirandomi su a brodo di carne, pollo e litri di olio di fegato di merluzzo. Nonostante fossi sommersa da cure ed affetto sentivo sempre molto forte la nostalgia di casa e così decisero che potevo ritornare a Napoli. Giuseppina mi accompagnò e fu ospite della mia famiglia per un mese. Per anni, in occasione del mio onomastico, lei continuò ad inviarmi un assegno di cinquemila lire e con questa grossa cifra i miei genitori riuscivano a tirare avanti per dei mesi interi. Quando poi divenni più grande e provai a cercarla di lei non ebbi più notizie.

Di questa vicenda quello che colpisce non è solo il racconto accorato ed appassionato di Paola, carico di pathos e di emozione, né la conferma che, al tempo, i comunisti non mangiavano i bambini, ma la scoperta che numerose famiglie operaie e contadine misero in atto una commovente gara di solidarietà per aiutare quei bambini napoletani.

Articolo pubblicato su “Il Napoli – Epolis”- 06-02-2007

 

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