Vero come la finzione di Marc Forster – USA – 2006

20 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore

In Vero come la finzione. Harold Crick (Will Ferrell) solitario e meticoloso agente del fisco conduce una vita ordinaria, scandita da una serie di piccoli rituali. Una mattina come tante, mentre sta contando, ossessivamente, i colpi che muove con lo spazzolino, sente una voce femminile che gli descrive, con estrema precisione, i gesti che sta compiendo. Credendo di esser impazzito, Harold interpella la dottoressa Mittag-Leffler (Linda Hunt) una psichiatra che, senza esitare, gli comunica che è uno schizofrenico e che soffre di allucinazioni. Ma Harold non si da per vinto e scopre di essere il protagonista di un romanzo che la scrittrice Karen Eiffel(Emma Thompson), colpita dal blocco della pagina bianca, sta ultimando con l’aiuto della sua assistente Penny (Queen Latifah). E quando la voce femminile gli anticipa che dovrà morire, grazie all’aiuto di Jules Hilbert (Dustin Hoffman) un affermato professore di letteratura, Harold, caparbio ed ostinato, prova con tutte le sue forze a contattare la scrittrice nella speranza di farle cambiare il finale del romanzo.

Piccolo capolavoro che per l’originalità della trama avrebbe meritato una maggiore fortuna presso il pubblico ed una maggiore attenzione da parte della critica specializzata. Sceneggiato da quel genio in ascesa che è  Zach Helm, il film, delizioso, ironico e divertente è una metafora dell’eterna lotta dell’uomo che si batte per mutare il proprio ineluttabile destino. Il regista non s’inoltra lungo i sentieri della tragedia o del dramma ma sceglie il tono della commedia surreale per raccontare le vicende di un uomo del tutto ordinario, sommerso dalle proprie ossessioni (ogni giorno conta i passi che lo dividono dalla fermata dell’autobus) che, dopo aver scoperto che è destinato a morire, prova a ridare senso alla propria grigia esistenza ed a mutare le regole del gioco. L’avvio è fulminante e la scena di Harold che sembra vittima di allucinazioni uditive è da antologia. Il film offre anche degli spunti interessanti sulla narrazione e sulla  scrittura come questa che il professor Hilbert regala allo spettatore:  “Per citare Italo Calvino il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce; la continuità della vita, l’inevitabilità della morte. Tragedia, lei muore; commedia, si accasa.” Sullo sfondo la tenera e disarmante storia d’amore del protagonista con Ana Pascal (Maggie Gyllenhaal) la proprietaria di una pasticceria.

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