Volevo i pantaloni di Maurizio Ponzi – Italia – 1990

20 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Volevo i pantaloni di Maurizio Ponzi – Italia – 1990
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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In Volevo i pantaloni, Annetta (Giulia Fossà) ha diciotto anni e vive in un piccolo paesino della Sicilia alle falde dell’Etna dove le donne sono state educate all’obbedienza ed alla sottomissione del maschio- padrone.

Ma Annetta ha uno spirito libero e subisce il fascino di Angelina (Natasha Hovey), una compagna di classe del liceo, libera, moderna e spregiudicata, figlia di un ricco notabile del luogo.

Le due ragazze diventano inseparabili ed insieme ai loro amici marinano la scuola. Un parente scopre che Annetta si bacia sulla spiaggia con Nicola (Tony Palazzo) e suo padre (Luciano Catenacci), per punizione, le vieta di frequentare la scuola e la rinchiude in casa.

Per il clima pesante venutosi a creare, Grazia (Lucia Bosé), la madre di Annetta, cade in uno stato depressivo ed allora il papà spedisce la figlia ribelle a casa di zia Vannina (Angela Molina), moglie dello zio Vincenzino (Pino Colizzi), un uomo che, in passato, aveva già rivolto delle morbose attenzioni alla nipote e che  tenta nuovamente di abusare di lei. Annetta, infrangendo il secolare muro di omertà, lo denuncia e poi sposa Nicola.

Tratto dal fortunato romanzo di Lara Cardella il film, esteticamente non proprio irresistibile, strizza l’occhio ad una sorta di ribellismo proto-femminista e si propone come una garbata denuncia della condizione femminile in certe zone retrograde ed arretrate del Sud.

Più che un film ideologico- militante il regista offre uno spaccato di una Sicilia feudale, arroccata ad un modello educativo che riserva alle donne solo umiliazioni, ceffoni e cinghiate.

La pellicola è una commedia godibile che non regala grandi lampi visivi e che si apre con le ragazze che, per strada, vestono castigate come le suore ma non appena mettono piede nella scuola, si fiondano in bagno per truccarsi ed indossare gonne più corte e magliette più scollate.

La narrazione procede senza strappi ed il regista sottolinea, in maniera un po’ didascalica, le vessazioni e le ingiustizie alle quali è costretta a piegarsi la giovane protagonista che, sin da bambina, aveva cercato di mutare i rapporti di forza a lei sfavorevoli e provato ad assimilare i modelli maschili imperanti:

“Per imparare a diventare maschio mi misi allora alle costole di mio cugino Angelo. Per me fu un maestro perfetto; mi insegnò ad acchiappare i ragni e a strapparci le zampe ad uno ad uno, a mettere le trappole per i topi, a tirare con la fionda, a sputazzare e a fischiare alla caprara. Quel coso non l’avrei avuto mai. Non sarei mai diventata masculo. Ed allora divento puttana. “Puttana da noi non è che bisogna per forza saltare da un letto ad un altro e vendere il proprio corpo, basta che una si ribella a certe regole; il vestire, il parlare, il comportamento, il fumare che subito puttana è come Angelina e ti sparlano, un prezzo che comunque pago volentieri per un poco di libertà.”

Il titolo fa riferimento alla scena finale del film; Annetta è incinta e, per la bambina in arrivo, sferruzza un paio di pantaloni.

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