Curare con il cinema (2002) : Recensioni

23 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Curare con il cinema  (2002) : Recensioni
Recensioni e prefazioni dei volumi di Ignazio Senatore
0

Edoardo Rosati : “Una terapia da Oscar” -“Il Corriere della Sera- Corriere Salute” – 8.9.2002

“Storie. Storie di ordinaria follia. Ai confini della realtà. Di famiglie in un interno. D’amore e di anarchia. Il cinema trabocca e vive di storie. Che ama narrare con la complicità del buio in sala. Quasi un grembo materno, direbbe la psicoanalisi. E allora qualcuno, in America, patria di mille mode, non ha esitato a inventarsi una nuova “fede”: la cineterapia. Perché no? Non potrebbe essere la sala cinematografica una sorta di lettino avvolgente, con lo schermo-psicoterapeuta che stimola il nostro vissuto con i suoi racconti e i suoi personaggi? Non è il cinema un formidabile repertorio di tipologie umane, spaccati sociali e vicende private, nelle quali chiunque può intravedere un “doppio” familiare capace di accendere stimolanti (o perturbanti) riflessioni personali? Lo psicoterapeuta Gary Solomon dice: un film al giorno leva il medico di torno! Con il suo libro “The Motion Picture Prescription” sostiene infatti che talvolta le dritte giuste e più incisive per prendere di petto i problemi della vita ci giungono dai film. Lui da quasi dieci anni non fa che prescrivere videocassette ai propri pazienti. E afferma: “Se credo che il cinema abbia la forza di guarire é perché i personaggi che lo animano affrontano problemi in cui noi stessi ci siamo spesso ritrovati. E’ innegabile: i film sono un genuino esempio di come l’arte imiti la vita.”  Non la pensa così il dottor Ignazio Senatore. Psichiatra, psicoterapeuta e “incurabile” cinefilo militante, svolge la sua attività lavorativa presso l’Area Funzionale di psichiatria dell’Università di medicina “Federico II” di Napoli e ha di recente firmato il libro “Curare con il cinema” (Centro Scientifico Editore, 240 pagine, 24,00 euro). Nelle cui pagine sostiene una posizione opposta. Dottor Senatore, le storie cinematografiche curano davvero? “Io amo il cinema. Il cinema, con le sue storie e le sue facce, colora i nostri discorsi e i nostri ricordi. Nel tempo ha saputo regalarci un mare infinito di esperienze virtuali, una trama di immagini e parole entrata a far parte del bagaglio culturale popolare”.  Come scrive Giuliano Gramigna sul “Corriere della Sera”, “i film costituiscono un dialetto universalmente intelligibile, semplificatore e diffuso”. Un terreno su cui, distrattamente o intensamente, siamo tutti cresciuti. “A chiunque, riprende Senatore, sarà capitato di esclamare “Mi sembra un film!” per descrivere un evento che ci ha turbati. Dunque, io non posso certamente negare che la visione di una pellicola metta in moto meccanismi psicologici come la regressione, la proiezione o l’identificazione, ma da qui a prescrivere un film alla stregua di una medicina il passo è lungo. E poco mi convince”. Un esempio: il film “Alien”. La storia è nota: durante una tappa su un pianeta sperduto, un organismo dalla biologia ignota s’impadronisce del corpo di uno degli uomini dell’astronave Nostromo; la creatura farà scempio della ciurma ma verrà battuta dalla scaltrezza di una donna. Ebbene, il dottor Salomon scorge nel film di Ridley Scott i seguenti motivi: confrontarsi con un pericolo, salvaguardarsi da chi mira a colpirci alle spalle, misurarsi con il lato oscuro delle cose, concedere spazio all’intuizione, ingaggiare una lotta. Ed ecco, sinteticamente, come giustifica la “prescrizione” di questa pellicola:  “I film di fantascienza racchiudono splendidi messaggi. L’opera in questione, per esempio, ti chiede: chi é il tuo “alien”? Forse stai passivamente trascinando un rapporto a causa di un’altra segreta relazione amorosa. Che dazio stai pagando, per questo comportamento, al tuo “alien” privato? Notti insonni? Dolori allo stomaco? No, non puoi metterlo a tacere ingurgitando farmaci o alcol. Lui, l'”alien”, non lascia requie. E allora affrontalo una volta per tutte e assumiti le tue responsabilità! Se vuoi essere una persona che sa stare al mondo”. Pronta e decisa la risposta di Senatore: “Che senso ha consigliare la visione di “Alien” a chi soffre di disturbi psicosomatici? La pellicola di Ridley Scott non é forse un film sulla “follia”, sulla paura che parti scisse (aliene) della mente possano prendere il sopravvento sulla psiche del soggetto?”. Il messaggio è: quale beneficio può mai trarre un paziente ipocondriaco dai turbamenti che punteggiano il film?  Come potrebbe “incanalare” positivamente i colpi bassi inferti dalla claustrofobica vicenda? “Mi sembra che le “cine-prescrizioni” del dottor Salomon semplificano eccessivamente (per non dire “sviliscono”) i mali interiori dello spettatore. Le reputo scolastiche, elementari, poco immaginative. Qualcuno é alle prese con problemi di dipendenza dall’alcol? E Salomon raccomanda: “L’uomo dal braccio d’oro”, “Il principe delle maree” e “I giorni del vino e delle rose”. Un paziente non riesce a gestire la paura della morte? E allora di corsa a vedere “All That Jazz”, “Il grande freddo”, “L’attimo fuggente” e “La scelta di Sophie”, osserva Senatore. Insomma: un trauma, una trama. “Pur adorando il cinema, sono il primo ad affermare che la semplice visione di un film non potrà mai eliminare i conflitti, ridurre le ansie e placare le angosce di uno spettatore/paziente. Una pellicola per pillola: “Guardi questo film e vedrà che si sentirà meglio”. Sarebbe bellissimo, ma é inverosimile, senza i giusti appigli forniti dalla relazione con lo psichiatra. Io penso invece che il cinema sia un formidabile scrigno di spunti e consigli soprattutto per noi medici. Pescando dalle vite, dai ruoli, dalle complicazioni, dai conflitti, dalle parole e dagli atteggiamenti degli uomini e delle donne di quel “mondo parallelo” che è il cinema, il terapeuta della psiche può studiare con una lente d’ingrandimento in più il paziente”. Del resto, qual’é il lavoro dello psichiatra? Ricostruire nel malato la “trama” della sua vita, restituire senso e significato – con un accorto “montaggio” – a quanto la persona ha “girato” fino a quel punto della sua esistenza, fotografare in piena luce ciò che il paziente non riesce più a narrare. E in questa delicatissima regia, il cinema é un gran consigliere

 

Alberto Pezzotta – Il Corriere della Sera- 9-8-2002

“Negli USA il Dr. Gary Salomon prescrive film ai suoi pazienti, per guarire dall’ansia e dalla depressione. Ignazio Senatore, psicoterapeuta fa qualcosa di diverso e meno semplicistico: da una parte esamina come i film raccontano la vita della mente ( i traumi, l’oblio, le fobie); dall’altra cerca analogie tra i meccanismi della psicoanalisi e quelli del cinema. Prendendo spunto sia dai personaggi (ci sono psicoterapeuti che come i pazienti si comportano come Sherlock Holmes e altri che seguono strategie meno razonali come Philiph Marlowe), sia dai modi di raccontare. La narrazione forte, quela frammentata della Nouvelle Vague e quella “postmoderna” di “Pulp fiction” corrispondono ad altrettanti modelli di analisi, e figure di terapeuta. Le osservazioni sono interessanti e meritevoli di approfondimento. Più che un saggio organico, quello di Senatore è una raccolta di materiali, con ampie citazioni.

 

Edoardo Altomare  “Ciak, si cura” – Il Corriere della Sera- Il Corriere del Mezzogiorno – 12. 7. 2002

 “Da quando nel 1997 il dottor Gary Salomon ha pubblicato il suo libro di “cine-prescrizioni” The motion picture prescription – ne contiene duecento, adatte a curare soprattutto i disturbi dell’umore – qualcuno si è convinto che i film possano avere uno specifico effetto terapeutico. Al paziente che nutra sensi di sconfitta e ribellione, Salomon consiglia Thelma & Louise. A chi soffra di disturbi ipocondriaci il cineterapeuta prescrive la visione di Alien, suggerendo particolare concentrazione sulla sequenza che mostra la parte del corpo (lo stomaco) dove l’alieno si localizza per svilupparsi. Il silenzio degli innocenti appare invece particolarmente indicato a chi ha paura di rivelare il proprio sé. E così via prescrivendo, la cosiddetta “cineterapia”, almeno negli Usa, ha finito per essere insegnata all’università (di Pittsburgh). Ma davvero, ci si chiede, una pellicola può aiutare a sconfiggere una malattia ? E se sì, quale ? “Io so solo – azzarda il critico e storico del cinema Gianni Canova – che per me e la mia generazione il cinema è stato anche uno “strizzacervelli” che ha favorito l’anamnesi e l’autoanalisi, portando a galla – sullo schermo – i fantasmi e i cadaveri che ci portavamo dentro”.  Prende le distanze da questo singolare approccio terapeutico lo psichiatra napoletano Ignazio Senatore: “Pur amando il cinema, ho sempre pensato che la visione di un film non avrebbe mai potuto eliminare i conflitti, ridurre le ansie, placare le angosce di uno spettatore”. Accattivante ma in fondo ingannevole appare dunque il titolo del suo recente saggio sulla capacità risanatrice del cinema:Curare con il cinema (Centro Scientifico Editore, Torino, 2001, pp. 230, € 24,00). Nessuno ha mai negato al cinema un grande potere suggestivo, ci mancherebbe: presentando il libro di Senatore, lo psichiatra Paolo Pancheri parla di “curiosa alterazione dello stato di coscienza” indotta dalla visione di un film, di “stato crepuscolare” dove la realtà oggettiva si cancella e lo spazio-tempo si annulla; e richiama indirettamente le parole con cui il grande Bunuel esplicitava il nesso tra cinema e psicanalisi (“Il buio che invade a poco a poco la sala equivale all’azione di chiudere gli occhi. E’ allora che comincia sullo schermo e al fondo dell’uomo l’incursione notturna dell’inconscio”). Ma da qui a guarire qualche spettatore ce ne corre. “Più che curare – osserva Senatore, che è funzionario tecnico presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Napoli Federico II – direi che il cinema si prende cura di noi”. E le cine-prescrizioni del dottor Salomon ? “Troppo scolastiche, elementari e poco immaginative. Da macchina desiderante, da fabbrica dei sogni, il cinema viene retrocesso a un testo (la sceneggiatura) da sezionare ed esaminare. Cenerentola e Biancaneve sarebbero sopravvissuti così a lungo nell’immaginario collettivo se ogni madre avesse “prescritto” al proprio bambino di leggersi la fiaba da solo per poi commentarla con lei ?”. Curare con il cinema è soprattutto una sistematica raccolta di citazioni catalogate con il gusto del cinefilo che si diverte a segnalare i riferimenti con le tematiche di interesse psichiatrico (e non solo): “Seppur non condivida il metodo di Salomon – commenta Senatore – certo non posso negare che la fruizione di una pellicola cinematografica metta in moto meccanismi quali la regressione, la proiezione, l’identificazione”. Senza coltivare l’illusione di guarire dall’ansia o dalla depressione, si può dunque continuare ad andare al cinema per ascoltare delle storie, per piangere e ridere, per lasciarsi andare all’immaginazione, per liberarsi da una preoccupazione avvolti dal buio della sala. Che non è poco.

Cecilia Comuzio – Cineforum – N. 417 – Agosto- Settembre 2002

“Cinema terapeutico, il rapporto tra cinema e psicoanalisi, la figura dell’analista al cinema, il cinema come strumento di esemplificazione e di lettura delle diverse nevrosi: sono molteplici gli argomenti trattati da Ignazio Senatore, in questo volume, che raccoglie, tra l’altro, alcuni interventi tenuti dall’Autore nel corso di Convegni e Giornate di Studio di materia psichiatrica. L’aspetto più interessante del libro sta proprio qui, nel fatto che un illustre psichiatra sia talmente intriso di cinema da utilizzare questa sua passione come chiave di lettura, di rispecchiamento o di interpretazione di alcuni aspetti della sua professione. Se infatti Senatore prende le distanze da Gary Solomon che prescriveva ai suoi pazienti la visione di determinati film come cura di diverse nevrosi (Alien per chi soffre d’insonnia, Il silenzio degli innocenti “per chi ha paura di rivelare il proprio se”,Rain man per chi ha un irrisolto rapporto il proprio padre), di fatto si diverte a consigliare (e a citare puntualmente con le battute chiare) una serie di film che possono funzionare da rispecchiamento per lo spettatore. Oppure dovendo trattare l’importanza della narrazione nella psicoterapia, attribuisce ai racconti dei suoi pazienti l’adesione a dei “codici narrativi appresi inconsapevolmente nel mondo del cinema”, e allo stesso tempo li guida e li impagina a secondo del codice che gli sta più a cuore in quel momento (passando così dalla narrazione forte hollywoodiana a quella frammentaria della Novelle Vague fino all’antinarrazione per eccellenza: “Quando mi capitò di vedere Ricomincio da capo, Smoking- No smoking, Prima della pioggia, Pulp fiction, Lola corre, Sliding doors non ebbi più dubbi: di colpo divenni un terapeuta pulp”. Questa piccola citazione dovrebbe bastare per dimostrare il tono complessivo di “Curare con il cinema” sia leggero, gradevole, spiritoso: tutti gli argomenti problematici” presi in considerazione sono trattati con particolare lievità, ed arricchiti di innumerevoli esempi cinematografici. Il volume infatti consiste essenzialmente di brani dei film più disparati, presi ad esempio per illustrare gli argomenti trattati. Incontriamo dunque Ricomincio da tre, Giovani carini e disoccupati, Blade runner nel capitolo dedicato alla famiglia (di volta in volta rimossa, assente, ridicolizzata, divisa o disturbata); Festen, Il principe delle maree, Marnie per esemplificare i diversi modi di contrastare un trauma subito; All that Jazz, Leon, Provaci ancora Sam intorno alla figura-modello a cui aspirare; La teta y la luna, Trainspotting, Giorni perduti sul desiderio alcolomanico; mentre riguardo al cibo risulta pluricitato Totò insieme ai più ovvi Il pranzo di Babette  e Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante. Per concludere, “Il decalogo dello psicoterapeuta”.  A questo punto come poteva Ignazio Senatore, nel redigere le regole principali da trasmettere ai giovani terapeuti alle prime armi, prescindere dagli esempi offerti dal cinema? Ecco quindi Il nome della rosa citato ad esempio per la regola numero 4, “Osservare”; Will Hunting per la numero  9, “Raggiungere il cuore del paziente”; La parola amore esiste per esortare a “Fare interventi puntuali”  e , con grande spirito, Happiness per la regola numero 1, “Sopravvivere”, con l’analista che mentre il paziente parla pensa tra se e se: “Tre litri di latte parzialmente scremato, una dozzina di uova, una macchinetta fotografica usa e getta per domenica…”

 

Mario Calderale – Segno Cinema – N. 114 Marzo – Aprile 2002 

“Un libro anomalo. Un libro di citazioni, di filmografie. Non un libro di critica, ma di indagine terapeutica grazie al cinema.  Un viaggio inesausto attraversato dal rapporto (dal flirt?) che il cinema ha intrattenuto con la psichiatria e viceversa.  Scritto da uno psicoterapeuta della cui assidua frequentazione cinematografica é cospicuo testimone questo volume che scava lieve nei peccati dell’inconscio. Un libro con due velocissime presentazioni, una di Gianni Canova e l’altra di Paolo Pancheri. Un libro per chi si sente pieno di “peccati.”

 

Romolo Rossi – Rivista di Psichiatria -Volume 37 – N.2 Marzo- Aprile 2002

 “Curare o curarsi? Mi pare che Ignazio Senatore segua la via maestra per ogni psichiatra: in primis, cura te ipsum.Ci sembra che egli intanto curi se stesso, animato da questa passione per il cinema che, si sente bene nel libro, lo travolge. Per questo, io credo ipotizza subito, tout court, una sorta di dreamy state, o uno stravolgimento della coscienza dell’Io (addirittura un Dammerzustande) che annulla lo spazio-tempo, fa diventare possibile l’impossibile. Perbacco! A questo punto dovremmo dire: cura, o fa ammalare? Cura, cura…viene da rispondere. In effetti, da persona coinvolta ma acuta,l’autore individua già nel primo capitolo il problema centrale, e nomina l’innominabile, o meglio ciò che la psichiatria biologica di oggi rischia di far diventare innominabile: il plot. Ci ricordiamo tutti del fondamentale libro di Brook, intitolato appunto “Plots” (Trame é il titolo italiano), che scritto da un letterato, sembra un trattato di psichiatria, e ci informa di che grande psichiatra è Faulkner. Dunque il lavoro dello psichiatra non consisterà forse nel ricostruire la narrativa, riannodare il “fil rouge”, permettere di ridare un ordine strutturale ed un Io narrante a ciò che sembra fratturato nella storia interna, e ristoricizzare ciò che non riusciva più a narrare? E chi, più del cinema, si presta a presentare trame per immagini, spazi, scene, oggetti che svaniscono (fondu, non si chiamano così), allusioni visive e illusioni percettive, a cui alla fine restituisce il racconto, il senso e il significato? Anche perché, a proposito di cinema e psicoanalisi (argomento di un ben equilibrato capitolo secondo) anche il cinema usa la tecnica del sogno: immagini, e non definizioni, colori, chiaroscuri e trasparenze, e non spiegazioni, ed anche il cinema usa la drammatizzazione, o la messa in scena, ove, e qui cinema e teatro condividono la metodologia, ogni conflitto familiare diventa un Edipo o un Oreste, e ogni conflitto politico-sociale diventa un Antigone. E se i Greci avevano la fortuna di psicoanalizzarsi a teatro, nei grandi emiciicli, nei grandi mezzodì delle feste panatenaiche, perché non potremmo noi, visto che non abbiamo più la polis ma la metropoli, un po’ più modestamente, ma sempre con lo stesso intento, psicoanalizzarci nel buio della sala cinematografica (non in casa alla televisione, per carità)? Incursioni nella famiglia nel cinema, sull’eterna dipendenza narcisistica, sui gustosi calembour allusivi (un trauma chiamato desiderio, anche se qui allude, diciamolo, al teatro e non al cinema) fino a massicce invasioni nel campo della formazione, rendono questo libro di deliziosa lettura, per non parlare del dott. Kildare, l’ideale di tutti noi…Ma, insomma, basta. Un libro così, correte a leggerlo! Saranno due o tre ore piacevoli, ed imparerete ad usare il cinema in psichiatria. Imparerete che non è vero che, come dice il Cavalier Marino e anche alcuni sciagurati psicofisiologi, altro non sono i sogni della notte, che immagini del di false e corrotte, ma che la vita è appunto, con Shakespeare same stuffs are dreams are made of, e che noi, sempre scespirianamente, siamo dei “poor players”, cosicché troviamo facilmente noi stessi, stessi, sani o matti, nel cinema. Il nostro autore riconoscerà che, a giudicare dalle associazioni che mi sono venute, il mio giudizio verso il suo libro è ottimo. Un altro indizio positivo per il lettore é che io ho impiegato due ore e mezzo a leggere il libro, inserendoci anche il tempo di due caffè, che mi sono fatto da solo.” 

 

ALTRE RECENSIONI

 

Ciak: Massimo Lastrucci N.7 – Luglio 2003

Rivista di Terapia Familiare: Antonello D’Elia  N.1- 2003

Rivista Interazioni:  “Curare con il cinema” Gemma Trapanese- N.1 2003

Il Resto del Carlino:  Rossella Martina (11-8-2002)

Cronache di Napoli: “Curare con il cinema”, ecco la terapia dei film” di Monica Florio (14.6.2002)

Il Mattino: “E lo psicoterapeuta ti cura con un classico del cinema” di Alberto Castellano  (6-1-2002)

Torino Sette – Settimanale  de “La Stampa” Giovanni Tesio  (n.670 )

RECENSIONI DAL WEB

Effetto notte

L’isola del tesoro

Comments are closed.

Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi