Fai la cosa sbagliata di Jonathan Levine – USA – 2008

18 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore

Luke Shapiro (Josh Peck), fresco di diploma e prossimo ad andare al college, si guadagna da vivere girando per la città con un carretto di gelati che usa come copertura per spacciare droga. E’ in cura dal dottor Jeffrey Squires (Ben Kingsley) uno psicanalista maturo, scoppiato ed ex fricchettone che offre le sue prestazioni professionali in cambio di qualche oncia di marijuana. I due iniziano a frequentarsi anche al di fuori del setting terapeutico e diventano inseparabili. Ma Luke è segretamente innamorato di Stephanie (Olivia Thirlby) la figliastra del dottore e Kristin (Famke Janssen) la giovane moglie di Squires è sempre più convinta che il suo matrimonio sia ormai agli sgoccioli. 

Delizioso, ironico, irriverente, smaliziato. Un piccolo gioiellino, il secondo film di Jonathan Levine, premiato al Sundance Film Festival come miglior film drammatico. Per la distribuzione nelle sale nostrane il titolo originale (quasi intraducibile in italiano) è diventato un esplicito ammiccamento a “Fai la cosa giusta” il ruvido ed abrasivo capolavoro di Spike Lee, diretto nel 1989. La pellicola di  Levine è lontana mille miglia dalle tematiche care al regista afro-americano ed il titolo, presumibilmente, fa riferimento ad una scena centrale del film che mostra lo sciroccato dottor Squires ed il suo giovane compagno di avventure mentre sorseggiano un drink in un bar, ritrovo, un tempo di hippy e di giovani scapestrati. Lo psichiatra è depresso e giù di corda ed ha voglia di aprire il suo cuore; dopo aver confidato a Luke che odia la moglie e che, pur non avendola mai tradita in precedenza, sente una gran voglia di farlo, con tono deciso, dichiara: “Sai, a volte è giusto fare la cosa sbagliata e questa è una di quelle volte”. Un attimo dopo Squires aggancia una ragazzina strafatta di acido, amica di Luke, le offre da bere e dopo averla sedotta, raccontandole di un mitico concerto a cui aveva assistito quando era giovane, la trascina nel retrobottega e fa l’amore con lei. Psichiatra e psicoterapeuta sui generis, Squires è una figura abbastanza anomala nel panorama degli analisti in celluloide. Sin dalle prime immagini, si intuisce, che la sua vita gira a vuoto; solo, senza amici e con un matrimonio che fa ormai acqua da tutte le parti, prova a tirarsi su, senza successo, mescolando, litio, psicofarmaci e dei cocktail di droga.

Consapevole del fallimento della propria vita, Squires si relaziona con Luke, (l’unico paziente che ha in trattamento), da pari a pari, senza barare ed in maniera genuina, onesta e sincera. Per tutto il film non sputa sentenze, non recita il ruolo del guru illuminato o del freddo e distante strizzacervelli ma si rivolge al suo giovane amico, snocciolando frasi (anche un po’ retoriche e banali) ma che gli vengono dal profondo del cuore. “Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta” e successivamente (prima di mettere in atto un goffo tentativo di suicidio)::“Ascoltami bene, non fidarti mai di qualcuno che non fuma erba o che non ascolta Bob Dylan. Chiaro? Non fidarti mai di quelli a cui non piace la spiaggia e non ti devi mai, dico mai, fidarti di chiunque ti dica che non gli piacciono i cani.”  Messi da parte il rispetto del setting e delle regole professionali, Squires è un personaggio che ispira più tenerezza che rabbia, più adesione che disapprovazione. Come in ogni classico film di formazione che si rispetti, nel corso della vicenda i ruoli finiranno irrimediabilmente per ribaltarsi; Luke, dopo essere stato piacevolmente trafitto dagli strali di Cupido, aver assaporato per la prima volta i piaceri del sesso ed aver fatto i conti con le prime disillusioni amorose, ritroverà se stesso e guarderà al futuro con rinnovato ottimismo; Squires, dal canto suo, smessi i panni dello strizzacervelli, proverà ad incollare i cocci della propria vita e  girerà per la città con il carretto dei gelati che il suo ex paziente gli ha lasciato in eredità. Pur lasciando le figure femminili un po’ troppo sullo sfondo, Levine impagina una pellicola misurata e senza sbavature che trae la propria forza nei dialoghi, divertenti, serrati ed un po’ demenziali e sopratutto nella contrapposizione tra i giovani protagonisti, spaesati ed in cerca di loro stessi e gli adulti, inaffidabili, immaturi, incapaci di proporsi nei loro confronti come guida e punto di riferimento. In una delle scene più emblematiche del film, Luke torna a casa e s’imbatte in dei facchini che stanno aiutando i suoi genitori a traslocare; in un attimo ha la conferma che suo padre (David Wohl), per colpa di un’avventata operazione finanziaria, non è riuscito a ripianare i debiti, ad impedire lo sfratto esecutivo ed il conseguente trasferimento di tutta la famiglia in un’altra città. Il regista ambienta la pellicola a New York negli Anni Novanta, tra Brooklin e Quince, in piena era Rudolph Giuliani, lo spavaldo sindaco della Grande Mela che aveva fatto, della tolleranza zero contro il crimine, il suo cavallo di battaglia. Calato in un ruolo leggero, Ben Kingsley è praticamente perfetto; Josh Peck è una piacevole sorpresa. Colonna sonora da sballo con musica rap ed hip hop e con brani di A Tribe Called Quest, Wu Tang Clan, Notorious B.I.G.

Recensione pubblicata su Segno Cinema Novembre- Dicembre 2009

Comments are closed.

Questo sito utilizza strumenti di raccolta dei dati, come i Cookie. Questo sito utilizza Cookie tecnici e di terze parti per fornire alcuni servizi. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi