Il tempo dell’inizio di Luigi Di Gianni – Italia – 1974 – Durata 130’

7 Gennaio 2022 | Di Ignazio Senatore
Il tempo dell’inizio di Luigi Di Gianni – Italia – 1974 – Durata 130’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Un uomo scappa da un manicomio, ma è subito ripreso da due infermieri che lo prendono sotto braccio, lo riconducono in reparto, lo mettono a letto e lo sedano con un farmaco iniettato in vena. Il direttore della struttura informa gli assistenti che l’uomo si chiama David Lamda (Sven Lasta), etichettato come “paranoico, depresso e socialmente irrecuperabile”, ricoverato perché delirava e minacciava di lanciarsi nel vuoto. Al di fuori della struttura il tempo sembra bloccato ed il mondo, retto da un anziano Capo, da una donna (Rada Rassimov), sensuale e misteriosa, e da alcuni consiglieri, sembra appena uscito da un disastro atomico. In quest’ambientazione spettrale, desertica e senza speranza si aggirano dei barboni che ascoltano in silenzio l’omelia di un anziano prete che invita tutti a rispettare l’ordine costituito. David, silenzioso ed imploso in se stesso, svolge intanto degli lavori umili e prova a sbarcare il lunario rivendendo a una decrepita robivecchi qualche oggetto trovato nel corso delle sue stanche ed finalistiche peregrinazioni. Un giorno trova per caso una piccola statuina e, quando i componenti del Potere la scoprono, lo condannano a morte. Sul finale si comprende che tutta la vicenda è solo il frutto della malata immaginazione del protagonista, ricoverato in manicomio e che il Capo e gli altri componenti del Potere non sono altro che i medici e gli infermieri del manicomio.  Nell’ultima scena David i dottori e gli infermieri del manicomio assistono impietriti e impotenti all’avanzata di un carro armato che annuncia l’arrivo di una dittatura.

Figlio del suo tempo ed assolutamente datato, il film d’esordio del regista, girato tra Napoli ed i Sassi di Matera, in un bianco e nero strizzato, gronda di simbolismi e di un’eccessiva intellettualizzazione. Il regista ripropone, stancamente, il mito orwelliano del Potere totalizzante che non tollera il dissenso e s’affida agli psichiatri, meri esecutori del potere costituito, che  rinchiudono i ribelli in manicomio. In questo fanta-apologo pessimista e claustrofobico sull’imminente distruzione del mondo e sull’impossibilità dell’uomo, dilaniato da lotte per il potere, di trovare una salvezza ed una via d’uscita, il regista lascia i dialoghi sullo sfondo e che le immagini prevalgano sull’intreccio narrativo e s’affida, infine, al volto amimico e mutacico del protagonista.

Per i rimandi filmografici, le schede film ed un esaustivo approfondimento sul tema si rimanda ai volumi “Cinema Mente e Corpo” e “Cinema (italiano) e psichiatria” di Ignazio Senatore – Zephyro Edizioni

 

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