La fuga di Paolo Spinola – 1964 – Durata 120’ – B/N

23 Dicembre 2021 | Di Ignazio Senatore
La fuga  di Paolo Spinola – 1964 – Durata 120’ – B/N
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Sposata da quattro anni con Andrea (Paul Guers), affermato fisico nucleare e madre di un bambino, vissuto più come un peso che come una risorsa, la ventiseienne Piera (Giovanna Ralli) sprofonda, giorno dopo giorno, nella depressione. Non riusciranno a scuoterla dal torpore emotivo, né il dottor Borghi (Enrico Maria Salerno), lo psicoanalista che l’ha in cura, né l’entrata in campo di Luisa (Anouk Aimèe), una sensuale e magnetica arredatrice, innamorata di lei.

All’esordio Paolo Spinola, grazie alla collaborazione in sede di sceneggiatura di Sergio Amidei e dello psicoanalista Piero Bellanova, dirige un film dai toni squisitamente esistenzialistici e totalmente immerso in un’atmosfera onirica. La ricostruzione della vita della protagonista avviene, con dei flashback, attraverso la rilettura degli appunti delle sedute e del diario di Piera, letto dal marito. Ne emerge il ritratto di una ricca borghese, infelice ed insoddisfatta, figlia di genitori divorziati, sposata con un uomo freddo e razionale, incapace di vivere a pieno la vita e di farsi trascinare dall’amore lesbico che nutre nei confronti della misteriosa e seducente Luisa. Nella seconda parte del film il regista lascia che le sedute con lo psicoanalista punteggiano la narrazione e siano solcate da un sogno ricorrente della protagonista; lei cerca di prendere un treno ma non ci riesce. Nel corso della seduta il dottor Borghi, in maniera scolastica e convenzionale, le dirà: “I sogni nei quali lei rincorre un treno senza raggiungerlo potrebbe significare che lei vuole fare un viaggio nel suo inconscio, per conoscersi, e non ci riesce.” E quando lei gli ribatte che nell’ultimo sogno era riuscita a prendere il treno, si sentirà replicare: “Si, però il treno diventa un tram. E’ come se temesse percorsi lunghi.” Interpretazioni a parte, sin dalle prime battute, s’intuisce che Piera, smarrita e confusa, vaga sullo schermo, alla vana ricerca di una propria identità e che le sedute con il dottor Borghi, spruzzate di un cerebrale intellettualismo, non l’aiuteranno ad uscire dalla disperazione che l’attanaglia. Lo psicoanalista è descritto come una figura molto professionale e, seppur appaia spiazzato dalla scelta suicidaria della paziente, sembra partecipe ed emotivamente coinvolto nella relazione terapeutica. 

Per un approfondimento sui rapporti tra cinema e psiche si rimanda la volume di Ignazio Senatore “Cinema (italiano) e psichiatria), Zephyro Edizioni.

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