La pecora nera di Ascanio Celestini – Italia – 2010 – Durata 93’

7 Gennaio 2022 | Di Ignazio Senatore
La pecora nera di Ascanio Celestini – Italia – 2010 – Durata 93’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Sin da quando era bambino, il trentacinquenne Nicola (Ascanio Celestini) vive rinchiuso in un ospedale psichiatrico gestito dalle suore, dove è ricoverata la madre. Alla morte della donna, Nicola continua ad aggirarsi tra gli spogli, anonimi e fatiscenti corridoi dell’istituto. Isolato dal mondo ha come unico amico (immaginario) Ascanio (Giorgio Tirabassi), il suo “alter ego”, con il quale va ogni giorno a fare la spesa al supermercato. Lì incontra Marinella (Maya Sansa), amica d’infanzia, di cui è segretamente innamorato. Le sue giornate si ripetono sempre eguali le une alle altre e, mescolando fantasia e realtà, Nicola si nutre dei ricordi d’infanzia.

Celestini traspone sullo schermo La pecora nera, opera già realizzata per il palcoscenico e traccia con leggerezza una storia toccante che alterna alcuni momenti della vita di Nicola, quando era bambino a quelli più recenti. Il regista ambienta la vicenda in un padiglione del Santa Maria della Pietà di Roma ma, pur accennando agli ESK ed agli altri metodi “terapeutici”, in voga nei manicomi italiani degli Anni Settanta, non vuole impaginare un film di denuncia sociale sulla disumana condizione dei pazienti psichiatrici di allora, ma raccontare la bizzarra vita di un emarginato, incapace di entrare in contatto con il mondo reale e che si nutre solo di ricordi e di fantasie. Celestini fa grande uso della voce fuori campo del protagonista che, sin da quando è bambino, deve fare i conti con la dura realtà che lo circonda: “Quella volta siamo andati a trovare una donna secca secca, con la faccia gialla e la testa rapata. Mia nonna mi ha detto che quella donna era mia madre. Mia nonna ha fatto il buco all’uovo con l’unghia del mignolo, ma non le ha detto la solita cosa che è fresco e che puzza ancora del buco della gallina, perché mia madre non l’avrebbe capito. Certi matti ci hanno il cervello come una stanza buia ed il buio fa paura. Si può morire per la paura del buio. L’istituto con la corrente elettrica gli accende la luce e li fa rifiatare. La corrente passa in mezzo al cervello per riaccendere la lampadina del cervello. E’ come il colpo che dai al mangiadischi quando s’incanta il disco. Mia madre è incantata.” Con disincanto Nicola snocciola filastrocche, racconta un paio di barzellette sui matti, si pone degli interrogativi a cui lui stesso non sa darsi risposta e rivela, qua e là le semplicistiche considerazioni delle suore sulla malattia mentale: “Il disordine del cervello si cura con l’ordine dell’istituto e con la santa pazienza”. La “follia” di Nicola non è mai caricata e non mancano le scene dal tocco squisitamente surreale ad altre tenere e disarmanti.

Per i rimandi filmografici, le schede film ed un esaustivo approfondimento sul tema si rimanda ai volumi “Cinema Mente e Corpo” e “Cinema (italiano) e psichiatria” di Ignazio Senatore – Zephyro Edizioni

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