La variabile umana di Bruno Oliviero – Italia -2013

19 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Mario Ulrich, noto e ricco imprenditore milanese, è ucciso di notte nella propria abitazione. La moglie avverte la polizia e l’indagine è affidata al commissario di polizia Adriano Monaco. Le indagini fanno ben presto luce sull’oscura e sotterranea vita della vittima, cocainomane, noto frequentatore di discoteche ed impenitente corruttore di minorenni. Linda, la giovane figlia del commissario, intanto, con altri due coetanei, è accompagnata in questura perché giocava al tiro a segno con una pistola..Strano Paese, l’Italia.
Gli amati/odiati cugini francesi, possono vantare, dei classici della letteratura erotica (De Sade, Pauline Reage, Anais Niin…), gli inglesi dei capolavori polizieschi (Conan Doyle, Agata Christie…) gli yankee, sin dai tempi di Edgar Allan Poe, dei romanzi di culto dell’horror e del fantasy. Questo buco, mai colmato, nella tradizione letteraria del Bel Paese, fa riaffiorare (inconsapevolmente?) nello spettatore nostrano una sorta di inadeguatezza e di disagio ogni qual volta si trova a fare i conti con una pellicola italiana che prova declinare un “genere”. Condannati a produrre “storicamente” due generi (il cinema autoriale e la commedia all’italiana), la cinematografia nostrana prova di tanto in tanto ad uscire da queste noiose secche narrative.
Ne è la riprova il bel film di Bruno Oliviero che squarcia il panorama nazionale con una pellicola sospesa, ricca di intensi e poetici silenzi. Sin dalle prime battute si intuisce che il regista napoletano, nel costruire questo intimista e raccolto giallo metropolitano, ambientato in una Milano asettica e non convenzionale, non vuole lanciare il guanto della sfida allo spettatore, nè stuzzicarlo se scoprirà o meno il colpevole. Disertati i soliti inseguimenti in auto tra criminali e polizia, cancellati conflitti a fuoco, i dialoghi di gergo malavitoso e le scene di violenza gratuita, Oliviero (con un inequivocabile passato di documentarista alle spalle) propone allo spettatore di lasciarsi fluire e di perdersi in un al di là, “nell’esterno” (il panorama che filma ossessivamente dai finestrini delle auto in corsa o dalle finestre di casa) piuttosto che rimanere incollato a quello che accade “all’interno” della narrazione.
Oliviero raffredda volutamente la vicenda e piuttosto che inanellare una serie di indizi che possono svelare l’assassina, punta la mdp sui volti dei protagonisti e lascia trasparire sottotraccia i loro affanni e tormenti. Silvio Orlando (un attore che mancava da troppo tempo sul grande schermo), controlla, sottrae ed azzera la propria recitazione, calandosi alla perfezione nei panni di un commissario, schivo e taciturno, che, dopo la morte della moglie, non riesce più ad affrontare la vita a pieni polmoni. Si ritrova, su pressione del suo superiore, ad occuparsi di un caso delicato, balzato in un attimo agli onori della cronaca ed inizia in punta di piedi, ad incollare tassello su tassello i pezzi del puzzle. Oliviero non gli cuce addosso i panni dell’eroe, non gli dona il cervellotico acume di Sherlock Holmes, il romantico disincanto di Philip Marlowe, la sagace ironia di Nero Wolfe, la geometrica freddezza di Agata Christie, ma ci mostra un anti-eroe che, senza neanche chiedere aiuto al fedele Levi (un Giuseppe Battiston lasciato troppo in ombra), ricuce da solo, in silenzio, passo dopo passo, i fili della tela che lo porteranno a scoprire chi è l’assassina. Ed è proprio in questa scelta registica (lasciare che le riflessioni del commissario sul caso non vengano a galla ma siano solo intuite dallo spettatore), la carta vincente del film.
Nel tentativo di riscrivere completamente il genere, Oliviero lascia anche la scena del delitto fuori campo e si tiene mille miglia a distanza dai soliti interrogatori sfibranti degli sospettati e da quei tagli elettrici, frenetici e sincopati che impazzano nelle numerose fiction televisive basate innaffiate di crimini e delitti. Film d’atmosfera più che d’azione, La variabile umana ha il pregio di introdurre (come indica il titolo del film) un elemento etico che fa spesso solo da sfondo alle vicende poliziesche. Che peso ha, per la buona riuscita di un’indagine, la componente umana? E se chi indaga su un delitto, scopre che l’omicidio non è stato compiuto da persone a lui estranee ma da qualcuno che gli è molto da vicino, come dovrà comportarsi?
Sceglierà il dovere o gli affetti? Lascerà che, in nome della ragione, trionfi la verità o la giustizia o lascerà che trionfino le ragioni del cuore? Oliviero, all’esordio dietro la mdp supera a pieni voti la prova ed ha il merito di aver saputo “guidare” un Silvio Orlando in stato di grazia ed un’intensissima e superlativa Sandra Ceccarelli che, seppure ai margini della narrazione, ogni volta che compare sullo schermo, illumina la scena. Fin troppo acerba la giovane Alice Raffaelli nei panni di Linda, la giovane figlia del commissario Monaco. Accattivante la colonna sonora di Michael Stevens.

 Recensione pubblicata sulla Rivista Segno Cinema Nov. Dic 2003

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