Ignazio Senatore intervista Matteo Garrone

26 Gennaio 2016 | Di Ignazio Senatore
Ignazio Senatore intervista Matteo Garrone
Ignazio Senatore Intervista...
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Non tutti lo ricordano. Matteo Garrone, il più acclamato regista italiano della nuova generazione, ha mosso i suoi primi passi a Napoli. Questo accadeva qualche anno fa e più precisamente nel 1998. Coadiuvato nella sceneggiatura da Massimo Gaudioso e supportato dalla colonna sonora della Banda Osiris, Garrone confezionò un documentario dal titolo: “Oreste Pipolo fotografo di matrimoni”.

“Quel progetto nacque da una commissione di Carlo Cresta – Dino per la Video Documentary. Carlo aveva sentito parlare su “Il sole 24 ore” di questo singolare fotografo e mi propose di girare un documentario. Mi divertiva l’idea di farlo e lo girai in una settimana. E’ la storia di una giornata di Pipolo ma soprattutto l’occasione per narrare una serie di storie sulle coppie di sposi e sui loro parenti. Ma è stato anche un viaggio all’interno di Napoli. Poi Pipolo aveva anche un’altra particolarità: aveva tutto uno staff di persone che collaboravano con lui. Lui allestiva dei veri e propri set cinematografici e forniva agli sposi dei costumi del 700. Mi sono divertito a far recitare anche chi era con lui. Del resto ho sempre amato mescolare la finzione e la realtà.”

Di quella lontana esperienza napoletana Matteo ha un ottimo ricordo ma s’intuisce, tra le righe che quell’esperienza era un po’ lontana dalle sue corde emotive.

“Al tempo non avvenne quella cosa che sento molto mia. Generalmente, quando costruisco un film mi piace scrivere sui luoghi  dove ambiento la storia. I luoghi, le persone mi offrono delle idee per la sceneggiatura ed i personaggi che incontro entrano a far parte della storia. La sceneggiatura è un punto di partenza che viene poi sviluppato. L’idea dell’oro che è presente in “Primo amore” non l’avrei mai sviluppata se fossi rimasto a Roma. Vivendo a Vicenza, sentendo parlare Trevisan che era sposato con un’orafa mi sono sempre più sentito attratto dal mondo degli orafi.”

Garrone qualche anno dopo è ritornato sul “luogo del delitto” ed avvalendosi di due straordinari attori napoletani, il giovane Valerio Foglia Manzillo ed il collaudato Ernesto Mahieux, ha poi ambientato “L’imbalsamatore” tra il litorale casertano e il Villaggio Coppola. Primo dei suoi film “maledetti”, ha collezionato una messe di premi e raccolto un largo consenso di pubblico. Simpatico, pronto alla battuta, Matteo è dotato di una dote straordinaria. Invece di trincerarsi dietro difese d’ufficio o dichiarazioni di facciata, si spinge sempre al di là del limite e rilegge, con un estremo senso critico le sue passate esperienze cinematografiche.

Come definiresti “Primo amore”, il suo ultimo film presentato al Festival di Berlino ed osannato dalla critica? Mi sembra sia da leggere come un chiaro riferimento al fatto che in ogni rapporto di coppia ci sia sempre una logica “vampiresca”, di potere e di soggiogamento dell’altro…Non a caso, all’inizio del film c’è una citazione al Nosferatu di Murneau…

“E’ un film molto scarno che richiede allo spettatore uno sforzo maggiore rispetto a “L’imbalsamatore”…”

Come ne “L’imbalsamatore” parti da un evento di cronaca…Che differenze ci sono rispetto al dato di realtà?

“Lui aveva messo un annuncio in cui cercava una donna magra. Lei risponde all’annuncio ma non è così magra come lui si aspettava. Avevo anche pensato a mettere una voce off dover lui telefonava al giornale e dettava l’annuncio. Poi ho pensato che fosse superfluo….Rispetto all’episodio della vita reale lei colpisce lui, che non muore (infatti nel film si vede lui che si muove…) Lei chiama i soccorsi. Lui è ricoverato in ospedale e lei agli arresti domiciliari per un anno… E quando esce, lui riesce a rivederla, le propone di vivere insieme, lei non accetta e lui la uccide…Rispetto agli episodi della vita reale mi sono fermato ad un anno prima ed anche qui è stata una scelta molto dibattuta rispetto alla prima stesura… La prima stesura era costruita su due piani; sul piano del passato e del presente e partiva con lui in ospedale che riapriva gli occhi e chiedeva di lei… E poi attraverso questa sua ricerca di lei, entrava la sua storia d’amore come un lungo flashback… Poi abbiamo preferito cambiarlo anche perché si perdeva la scena madre di lei che lo colpiva e poi il finale… Quando ho girato la scena di lui sdraiato, in mezzo al sangue ed in mezzo a tutta la roba da mangiare, mi sembrava una scena così forte, conclusiva che sarebbe stato difficile immaginare una scena successiva. E poi il film, rispetto alla prima stesura, era ancora più centrato su d lui, invece noi sentivamo il bisogno di raccontare più lei. Mi accorgo, durante gli incontri che ho fatto che mentre è chiaro il discorso psicologico suo, per molti spettatori è molto più incomprensibile perchè lei accetta questo gioco al massacro… Può darsi pure che mi accorga che avrei dovuto aggiungere qualche motivazione in più. Forse è un volersi rassicurare e voler sapere che c’è un perché. Spesso questo perché è molto più nascosto, più vago, più incomprensibile di una motivazione. Nel film lasciamo lo spazio per un’interpretazione che ognuno dà…ma poi mi sembrava di cadere in un elemento più didascalico.”

Come è nata l’idea di lavorare con Trevisan che è uno scrittore…

In partenza avevo iniziato a lavorare con Massimo Ammanniti e con Massimo Gaudioso (con cui avevo scritto “L’imbalsamatore”). Poi sono stato a Sant’Arcangelo, dove Vitagliano è stato premiato con il suo libro”Quindicimila passi” come miglior romanzo dell’anno. L’ho sentito leggere e mi ha colpito la sua ironia, il suo aspetto così duro, glaciale…Mentre Michela è un attrice di teatro, Vitagliano era granitico. L’idea è nata quasi subito…Ho chiesto a Vitagliano di collaborare ad una sceneggiatura. Lui ha detto non l’ho mai fatto ma mi piacerebbe. Io sentivo l’esigenza di ambientarlo e di scriverlo nel Nord Italia e con Niccolò abbiamo deciso di non continuare a lavorare insieme. Era importante il Nord Italia (il fatto è ambientato a Brescia…) perché il personaggio, seppur vittima di questa sua ossessione-perversione è alla ricerca di una stabilità sia sentimentale che lavorativa ed in quei luoghi lì, se non riesci ad aver successo nel lavoro, a non avere una famiglia, il senso d’emarginazione è ancora più grande e quindi quel fondale lì era importante rispetto ad altre parti d’Italia.  Vitagliano era di Vicenza  e per semplificare ci siamo detti: perchè non ambientarlo lì. Poi era stato sposato due anni con un orafa e mi aveva raccontato di questo mondo dell’oro e mi è sembrato visivamente molto bello. Nella realtà, il personaggio della cronaca era un antiquario…

Per l’intervista completa si rimanda al volume “Psycho cult” di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)

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