Metti una travolgente colonna sonora (Everybody talking, Father and son…), un omaggio a “Casablanca”, il capolavoro di Curtiz, e Fabrice Luchini come attore protagonista. Si direbbe una miscela esplosiva e invece Hervé Mimran, all’esordio, dirige un film fiacco, penalizzato da uno script poco credibile. Alain (Luchini), amministratore delegato di una grande industria automobilistica ed eccellente oratore, è colpito da un ictus che gli provoca dei deficit cognitivi, dei buchi di memoria, ma soprattutto lo spinge a invertire le consonanti di una parola e a creare dei buffi e incomprensibili neologismi.
Lo aiuterà nella riabilitazione Jeanne (Leïla Bekhti), paziente e dolce ortofonista. Messa da parte la pessima traduzione del titolo nella versione italiana (in originale è “Un Homme Pressé”), il regista punta sulla disfasia del protagonista che, inizialmente, strappa qualche sorriso, ma poi diventa ripetitiva. A completare la frittata, un’inverosimile descrizione del mondo della grande industria ed un finale buonista.
Recensione pubblicata sulla Rivista Segno Cinema 219 – Settembre – Ottobre 2019
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