Chi lavora è perduto di Tinto Brass – Italia – 1961 – Durata 90′

3 Gennaio 2022 | Di Ignazio Senatore
Chi lavora è perduto di Tinto Brass – Italia – 1961 – Durata 90′
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Bonifacio (Sady Rebbot) ventisettenne, diplomato in disegno, disoccupato, è in attesa di conoscere l’esito di un colloquio di lavoro presso l’AG, una nota industria della zona. Mentre vaga senza meta per Venezia ripensa al proprio passato, al padre fervente fascista, alle sue frequentazioni in chiesa con padre Deodato, alla sua adolescenza  ed alla sua tormentata storia d’amore con Gabriella (Pascele Audret) naufragata dopo l’aborto della donna. Nel corso del suo girovagare per la città va a trovare Kim (Franco Arcalli) un suo amico ricoverato in manicomio. In un crescendo tra il fantastico ed il surreale, Bonifacio immagina quali possono essere le sue occupazioni future; da scassinatore di banca a tenutario di un bordello, da attore ad addetto a dare il mangime ai colombi.

Il regista, all’esordio dietro la macchina da presa, affonda i colpi contro il perbenismo imperante, la Chiesa e la società consumistica. In questa sorta di Amarcord brassiano, dal tocco anarchico, irriverente e ribellista, sono evidenti i richiami alla nouvelle vague (la Rebbot aveva già lavorato con Godard) e l’adesione ad una scrittura filmica dal sapore vagamente sperimentale. Sin dalle prime battute Bonifacio è descritto come una persona alla ricerca di se stesso. In apertura del film, felice e contento, Bonifacio si sottopone al colloquio di lavoro ed un presunto psicoanalista, lasciato fuori campo, gli pone una serie di domande. Nel corso del film Bonifacio va a trovare Kim in manicomio; i matti, dotati tutti di un berretto in testa ed affollano un enorme e luminosissimo corridoio, contornati da medici in camice. Kim è descritto come una persona, sanguigna, genuina, libera ed idealista, finito in manicomio dopo essere stato picchiato dai fascisti. E mentre in flashback, viene mostrata la vile aggressione avvenuta un tempo ai suoi danni dai fascisti, Kim, inizia a sconnettere, si agita e gli infermieri lo costringono in una camicia di forza. Il film manca di un intreccio narrativo ed è assolutamente privo di sottostorie e le attenzioni del regista si concentrano sul disperso e smarrito protagonista. La pellicola s’intitolava  In capo al mondo scandalizzò, al tempo, la Chiesa ed i benpensanti perché mostrava una ragazza che andava ad abortire in Svizzera. Bloccato dalla censura “in quanto contrario alla morale, alla famiglia ed alla Patria” uscì successivamente nelle sale con il titolo Chi lavora è perduto dopo aver subito tagli e modifiche. Musiche di Pierto Piccioni ed il brano Amore twist di Rita Pavone.

Per i rimandi filmografici, le schede film ed un esaustivo approfondimento sul tema si rimanda ai volumi “Cinema Mente e Corpo” e “Cinema (italiano) e psichiatria” di Ignazio Senatore – Zephyro Edizioni

 

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