I piccoli maestri di Daniele Luchetti – Italia – 1998

21 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore

Autunno del 1943. Gigi (Stefano Accorsi), Enrico (Giorgio Pasotti), Simonetta (Stefania Montorsi), Bene (Filippo Sandon) e Lelio (Diego Gianesini), studenti universitari simpatizzanti del Partito d’Azione, a cui si aggregano un operaio ed un marinaio, costituiscono un “banda” e, diretti all’altopiano di Asiago, sperano di potersi unirsi al più presto ad altri gruppi di partigiani.

Politicamente ingenui e sprovveduti, in assenza di direttive, rubano dei formaggi in un deposito e li distribuiscono agli abitanti di un piccolo villaggio, causando però subito dopo, la rappresaglia dei tedeschi e dei fascisti.

Raggiunti un gruppo di partigiani, capitanati da Toni Giurolo (Marco Paolini), la ”banda” decide di ammazzare un medico fascista, ma poi si limita a sequestrarlo ed a tenerlo rinchiuso, in montagna, in un rifugio.

Iniziano i primi rastrellamenti e, su indicazione di Giurolo, decidono, prudentemente, di separarsi in due gruppi. Gli scontri a fuoco con tedeschi e fascisti si fanno sempre più aspri e più duri ed alcuni componenti della “banda” muoiono sotto i colpi del fuoco nemico.

Viene l’inverno ed ai superstiti della “banda” non resta che ritornare a Padova dove nell’aprile del 45’, festeggeranno con la popolazione, l’ingresso in città degli Alleati e la Liberazione.

Coadiuvato in sede di sceneggiatura da Stefano Rulli, Sandro Petraglia e Domenico Starnone, Luchetti traspone sullo schermo l’omonimo romanzo di Luigi Meneghello ed affronta il complesso tema della lotta partigiana e della Resistenza.

Il regista romano, sin dalle prime battute, sceglie un taglio anticelebrativo ed antiretorico e mostra i giovani e romantici protagonisti che, “giocano”, inizialmente, a fare gli eroi, ma si ritrovano ben presto a fare i conti con la storia con la S maiuscola.

Nella prima parte il tono della vicenda è quasi goliardico e scanzonato ma, dopo il primo rastrellamento dei nazisti, muta di colpo e s’ammanta sempre più di dolore e di cieca sofferenza.

Luchetti lascia che l’intera vicenda si dipani all’indietro con un flashback ed apre il film con Gigi che ripercorre con la memoria ai tempi della costituzione della “banda”.

In questo classico film di formazione, dove i protagonisti, al termine della vicenda non saranno naturalmente, più gli stessi di prima, il regista lascia sullo sfondo i fascisti e fa vestire ai nazisti i panni del “nemico”.

Un film nel complesso onesto e coraggioso che fu accolto tiepidamente dalla critica di allora e che mantiene a distanza di anni, un’invidiabile freschezza e genuinità. Citazione al film L’amore bussa tre volte del 1938 diretto da Norman Z. Mc Leod.

Per l’intervista completa a Daniele Luchetti, l’antologia della critica e della critica online del film si rimanda al volume di Ignazio Senatore: “Daniele Luchetti racconta il suo cinema” – 2014 -Falsopiano Editore.

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