“Sono nato a Cerignola, un piccolo paese ed il Rione Traiano mi ricorda tanto i miei luoghi natii”.
Chi parla è Agostino Ferrente, documentarista militante, che ieri ha presentato alla Berlinale il suo docu-film “Selfie”, ambientato nel degradato quartiere flegreo.
“I rioni popolari, prosegue il regista, sono simili in tutte le latitudini e dovunque sono abbandonati dalle istituzioni. I media ed i politici si ricordano delle periferie solo dopo che è scattata una retata della polizia e sono interessati solo a salvaguardare i centri storici ed i luoghi turistici delle città. Nelle periferie non esistono cinema, teatri e gli unici punti d’incontro sono i bar e le sale da biliardo. In “Selfie” racconto l’assurda morte di un ragazzo che non portava il casco, ucciso nel Rione Traiano da un poliziotto. Se un ragazzo dei quartieri bene gira in scooter senza casco, la sua infrazione è letta come una bravata, se sei in periferia, sei un delinquente.
E’ un fiume in piena Ferrente, autore, tra l’altro, del pregevole documentario”Le cose belle”, ambientato anch’esso a Napoli. Uno sguardo, il suo, attento e tagliente, mai indulgente verso il potere, responsabile, a suo dire, di non aiutare chi versa in gravi difficoltà economiche.
“Se un adolescente, prosegue Ferrente, vive in una famiglia che non ha i mezzi per pagare delle lezioni private, alle prime difficoltà, abbandona la scuola. Nel Rione Traiano dei ragazzi che fanno parte dell’associazione “Davide Bifulco”, in maniera volontaristica sono impegnati a dare delle ripetizioni agli studenti in difficoltà, ma non c’è stata un’istituzione che ha fornito loro il proprio sostegno. I politici vengono a fare passerelle nelle periferie solo per cercare di accaparrare voti e per scendere a patto con i boss locali. Quando vado in giro, anche all’estero, ed incontro dei napoletani che fanno il dottorando, mi sento dire che Napoli non è solo quella che rappresento. E’ vero ma, con i miei documentari cerco di dar voce a chi non l’ha. Non a caso, in “Selfie” racconto di un ragazzo che sogna di fare il barbiere ed un altro lavora come garzone di un bar. Parafrasando il titolo del mio precedente documentario, “le cose belle” consistono proprio nel vedere come questi ragazzi cercano di realizzare dei sogni “normali”, in un quartiere dove la “normalità” non esiste.” Dopo aver respinto con forza l’ipotesi che fa più cassetta parlare di ultimi e di diseredati e che ormai il cinema si nutre solo del mito di delinquenti e criminali, con un sorriso, risponde: “Ma in Tv non sta avendo successo una fiction sui pariolini?”
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