In cattedra: da artisti a prof

9 Luglio 2015 | Di Ignazio Senatore
In cattedra: da artisti a prof
Senatore giornalista
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Invitare registi, attori, cantanti ed altre personalità del mondo dello spettacolo ad impartire “lezioni” agli studenti, è diventata chiaramente una tendenza. Ieri Vincenzo Salemme, ospite della Scuola di Medicina e Chirurgia della Federico II, ha tenuto una “lezione” sul tema: “Umorismo e Medicina Della malattia si può anche sorridere?”. Oggi nell’Aula Magna Piovani – Dipartimento di Studi Umanistici, in Via Porta di Massa, 1, alle ore 15.00, lo sceneggiatore Leonardo Fasoli e Fortunato Cerlino, l’attore che interpreta il ruolo del capoclan don Pietro Savastano, discuteranno sul tema “Perchè Gomorra?”, la discussa, controversa e fortunata serie televisiva, con il critico cinematografico Valerio Caprara, il politologo e filosofo del diritto Gennaro Carillo, il dialettologo Francesco Montuori, il filosofo Davide Grossi, lo storico Luigi Musella e il critico della letteratura Pasquale Sabbatino. In attesa del suo concerto a Napoli  26 luglio, Jovanotti ha annunciato sul suo profilo Facebook che giovedì 4 giugno presso la Facoltà di Giurisprudenza (ore 12.30 a via Porta di Massa), incontrerà a Napoli gli studenti dell’Università Federico II, nell’ambito di una lezione introdotta dal professor Lello Savonardo, con l’intervento del Rettore, Gaetano Manfredi, e parlerà con loro “della sua musica, della creatività e della ricerca della propria strada”. Una tendenza culturale, quindi, che richiama nelle università, in maniera sempre più numerosa, un pubblico giovanile (e non solo) curioso ed eterogeneo che, in assenza degli acclamati filosofi, intellettuali e “maitre a penser” di un tempo, grazie a questi artisti, s’interroga, riflette ed arricchisce il proprio immaginario. Salemme, applauditissimo, nel regalare a medici e studenti delle acute e profonde riflessioni sulla malattia, tra l’altro, ha dichiarato: “Ho sempre pensato che le persone sono a loro agio quando si sentono desiderate L’infelicità maggiore del malato è proprio nel non sentirsi accettato, al punto che si sente diverso, isolato. Sarebbe bello se il malato potesse salire su un palcoscenico e raccontare la propria sofferenza davanti a mille persone piuttosto che confidarla solo al medico. Credo che se fosse possibile raccontarlo a più persone, si sentirebbe meno solo.” E successivamente: “Poiché il medico non può regalare l’eternità al paziente, deve aiutarlo, nel senso più religioso del termine,  ad accettare che la vita ha un inizio ed una fine e che non può vivere per sempre.”

Articolo pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno – 22-5-2015

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