La machine – Un corpo in prestito (La machine) di François Dupeyron – Francia – 1995 – Durata 96’ – V.M 14

24 Novembre 2020 | Di Ignazio Senatore
La machine – Un corpo in prestito (La machine) di François Dupeyron – Francia – 1995 – Durata 96’ – V.M 14
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Lo psichiatra Marc Lacroix (Gérard Depardieu) in crisi con la moglie Marie (Nathalie Baye) ha una relazione con la giovane e bella Marianne (Natalia Woerner) alla quale confida, in gran segreto, di aver messo a punto una particolare macchina in grado di trasferire da un uomo ad un altro memoria, affetti ed emozioni. Lacroix s’imbatte in Michel Zyto (Didier Bourbon) un pluriomicida ricoverato in un manicomio, affetto da un tumore all’orecchio. Nel corso di un esperimento prova a usarlo come cavia ma qualche ingranaggio s’inceppa e lui entra nel corpo di Zyto ed il criminale nel suo. Zyto approfitta immediatamente della situazione, va a vivere a casa del dottore, va a letto con la moglie di Lacroix e si gode, idisturbato, quell’invidiabile posizione; Lacroix, dopo essere fuggito, in maniera rocambolesca dal manicomio, si mette in contatto con Marianne e, dopo non poche difficoltà, la convince dell’avvenuto scambio d’identità. Il tumore al cervello avanza e Zyto, sempre più in preda a dolori lancinanti alla testa, decide di trasferire la propria identità nel corpo di Léonard (Erwan Baynaud) il figlio di Lacroix. Un finale confuso e sbiadito chiude la vicenda.

Dupeyron dissipa un’idea avvincente giocata tutto sul contrasto tra Zyt, un criminale dall’aspetto scimmiesco, grossolano,  violento ed aggressivo e Lacroix, un dottore incolore ma gentile e discreto. L’inizio è palpitante e si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un novello dottor Jekyll che vuole scardinare i confini della scienza e dello scibile umano. Bastano poche battute e sullo schermo si muovono personaggi che sembrano solo dei burattini senza fili, incapaci di esprimere le proprie emozioni e di dar voce all’incredibile vicenda che stanno vivendo. Solo sul finale del film il regista regala a Lacroix un’amara e disperata riflessione: “Ho passato la mia vita a cercare e mi sono perduto. Io non so più chi sono”.  Troppo sfumate le figure di contorno e la decisione di Zyto di passare nel corpo del piccolo Leonard non può che scatenare sgomento ed ilarità. Dal romanzo omonimo di René Belletto.

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