Marianna Ucrià di Roberto Faenza – Italia – 1997 – Durata 108’

21 Dicembre 2014 | Di Ignazio Senatore
Marianna Ucrià  di Roberto Faenza – Italia – 1997 – Durata 108’
Schede Film e commento critico di Ignazio Senatore
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Palermo. 1743. La dodicenne sordomuta Marianna Ucrìa (Emmanuelle Laborit) va in sposa allo zio Pietro (Roberto Herlitzka) e, pur non amandolo, mette al mondo tre figlie. Animo sensibile e delicato nutre una grande passione per la letteratura e sembra rinata quando sull’isola giunge Grass (Bernard Girardeau) un giovane precettore francese che le insegna il linguaggio dei segni e le legge Hume, Newton, Cartesio, Galileo, autori messi al bando dalla Chiesa. Spirito indomito, libero e controcorrente Marianna, invece, di sottomettersi all’anziano marito, sceglie di vivere nella sua tenuta in campagna, lontano dai fasti e dalla mondanità di Palermo. Di tanto in tanto ricorda il motivetto di una canzone di quando era bambina e chiede alla madre Maria (Laura Morante) ed ai suoi familiari se, negli anni addietro, avesse mai udito e parlato ma tutti negano, con forza, questa sua ipotesi e le ribadiscono che era nata sordomuta dalla nascita. AllontanatoGrass, accusato di essere un agitatore sovversivo, Marianna sprofonda nuovamente nella solitudine. Alla morte del marito, sempre più matura e sicura di sé, s’infiamma per Saro (Lorenzo Crespo) un suo servo e, sul finale, scavando dentro di sé, scopre che era diventata sordomuta a seguito di un evento traumatico; lo zio Pietro l’aveva violentata quando era piccola e l’aveva poi sposata per riparare al danno. Il regista ambienta la vicenda in Sicilia a metà del Settecento, compone un sontuoso affresco dell’epoca e ci regala la storia di una donna che sembra scegliere il mutismo come forma di ribellione e di modalità di difesa nei confronti di un mondo infame e crudele. Il film si apre con il duca Signorotto (Philippe Noiret), lo zio di Marianna, che la porta ad assistere ad una impiccagione, nella speranza che la vista di quella scena violenta possa sbloccarla dal suo male. Dopo averle detto: “Parla, fallo per me..Mi capisci? Parla, apri sta boccuzza di pesce!. Ti prego!”la piccola prova, invano, ad articolare qualche suono e poi, sconfitta, la richiude mestamente. Faenza mette in scena una protagonista, femminista ante-litteram che, pur vivendo nel silenzio, non s’arrende ad un terribile destino ed alla mote del marito sarà in grado di riprendersi la propria vita ed, abbandonata l’isola, prenderà a viaggiare per l’Europa alla ricerca di nuove emozioni. A fare da contro-altare all’eroica figura di Marianna, sua madre Maria che, pur essendo al corrente della violenza subita dalla figlia, adotta un omertoso silenzio. Con millimetrica precisione, Faenza confeziona un film curato fin nei minimi dettagli, arricchito dalla fulgida fotografia Tonino Delli Colli e dai sontuosi costumi firmati da Danilo Donati. Nel cast Laura Betti nei panni di Giuseppa, la nonna di Marianna, Leopoldo Trieste in quelli del pretore Camaleo e Selvaggia Quattrini in quelli della sfortunata Fila, una ragazza perdutamente invaghita di Saro e che non potrà coronare il proprio sogno d’amore. Colonna sonora calda, melanconica e suggestiva di FrancoPiersanti. Liberamente tratto dal romanzo La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini.

Per l’intervista completa a Roberto Faenza, l’antologia della critica e della critica online del film si rimanda al volume di Ignazio Senatore: “Roberto Faenza Uno scomodo regista” – 2012 -Falsopiano Editore

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