Los Angeles. Il sassofonista Fred (Bill Pullman) sposato con Renee (Patricia. Arquette) riceve una misteriosa videocassetta che lo ritrae mentre dorme nel proprio appartamento insieme alla moglie. Allertata la polizia non ne cava un ragno dal buco. Al ritorno da una festa a casa di Andy, un regista di film porno, Fred trova un’altra videocassetta che lo riprende mentre è accanto al corpo della moglie assassinata. Finito in carcere prova, invano, a gridare ai quattro venti la propria innocenza. Al mattino i secondini scoprono che in cella Fred si è materializzato nel giovane meccanico Pete (Balthazar Getty) finito anche lui dietro le sbarre per aver ucciso Eddy (Robert Loggia) un malavitoso senza scrupoli che aveva costretto l’amante Alice (Patricia Arquette) ad entrare in un giro di film hard diretto e di prostituzione. Un finale onirico chiude la vicenda.
Come nelle opere precedenti, David Lynch continua ad illudersi che basti decostruire la narrazione, confondere sogno e realtà, introdurre qualche trucchetto (la magica apparizione di Pete al posto di Fred ed il doppio ruolo di Patricia Arquette nei panni di Renee e di Alice) per spiazzare lo spettatore. Ma più che incantare, irrita, più che sorprendere e seminare inquietudine, genera noia e sbadigli. Non potevano mancare qualche sbiadito virtuosismo di macchina e l’immancabile incursione onirica “Ho fatto un sogno, mi chiamavi per nome. Non riuscivo a trovarti. Ad un certo punto eri sdraiata sul letto. Eri tu, ma non eri tu.”. In questa sagra dell’ovvio e del banale, il regista chiude la vicenda con la stessa inquadratura iniziale; dei fari accesi che illuminano il selciato in una notte buio pesto. E se fosse tutto un incubo del protagonista?
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