Un divano a Tunisi di Manele Labidi – Francia – 2019 – Durata 87’    

24 Ottobre 2023 | Di Ignazio Senatore

La trentacinquenne Selma Derwich (Golshifteh Farahani), dopo aver vissuto per anni a Parigi, decide di ritornare a Tunisi ed esercitare nella sua terra d’origine la professione di psicoanalista.

Indomita e decisa, non ascolta gli zii che la scoraggiano a intraprendere un’impresa che, secondo loro, sarebbe fallimentare.

Per farsi pubblicità, Selma chiede aiuto a Baya (Feriel Chamari), la proprietaria di una salone di bellezza ed, in un batter d’occhio, il suo studio è affollato da pazienti eccentrici e bizzarri.

Sul divano di Selma il classico campionario di svitati; un fornaio che ama vestirsi da donna e quando dorme è assalito da incubi e sogna i peggiori dittatori della storia; la proprietaria del salone di bellezza che ha un irrisolto problema con la madre e un iman, depresso e in crisi, abbandonato dalla moglie.

A fare da contorno agli improponibili pazienti, Olfa (Aïcha Ben Miled), la cugina di Selma che, pur di lasciarsi alle spalle il luogo dove è nata, è disposta a sposare un gay che la porterebbe con sé via da Tunisi e vivrebbero insieme a Londra.

Ma Selma non ha fatto i conti con la burocrazia e con Naïm (Majd Mastoura), un solerte e reazionario poliziotto che le mette i bastoni tra le ruote e, con la scusa che lei non ha ancora ricevuto un’autorizzazione ufficiale dai funzionari dello Stato, le impone di sospendere l’attività. Selma chiude lo studio e, dopo aver atteso, invano, che la pratica si sblocchi, decide di mollare tutto e ritornare a Parigi. Ma….

Con questa deliziosa commedia Manele Labidi ambienta la vicenda dopo la caduta di Ben Alì e ironizza sull’atavica mentalità che alligna ancora in certe zone più arretrate della Tunisia. Con garbo, la regista punta il dito contro chi, tra scetticismo e diffidenza, si aggrappa alle tradizioni per non permettere alle donne di diventare autonome e indipendenti e si trincera dietro un’ottusa convinzione che nessuno possa aver bisogno anche di un piccolo sostegno psicologico.

 

In una delle scene più esilaranti del film, Selma, che non è sposata, ha i capelli lisci e veste in perfetto stile europeo con jeans e camicetta, è interrogata da due poliziotti che l’accusano dapprima di essere una spia del Mossad (perché ha nel suo studio la foto di Freud, un ebreo), e poi una donna dai facili costumi (perché fa sdraiare uomini e donne sul suo divano) e, in ultimo, una persona equivoca e sospetta (perché affronta con argomenti proibiti come il sesso).

La regista francese, di origine tunisina, lascia però anche intravedere i tormenti di Selma, che da un lato lotta per portare a termine il suo “folle” progetto e dall’altro comprende come sia difficile esercitare una professione (che affonda le proprie origini nella Mitteleuropa), in un paese dove le donne devono ancora emanciparsi dal potere e dalla sottomissione maschile. Da cineteca la scena dall’alcol test alla quale Selma è sottoposta. In apertura il brano Città vuota cantata da Mina.

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