Sull’infinitezza di Roy Andersson – Svezia – 2020

12 Novembre 2021 | Di Ignazio Senatore

Una voce narrante femminile illustra alcuni dei “quadri” che il regista svedese Roy Andersson mostra in successione e li accompagna con un semplice: “Ho visto una donna…” e “Ho visto un uomo che…” Vediamo sfilare, infatti, un campionario di umana sofferenza che si muove in ambienti decolorati, gelidi e freddi. C’è un prete (Martin Serner) che ha perso la fede e, vittima di incubi, si rivolge, senza successo, ad uno psichiatra (Bengt Bergius) che, per i troppi impegni, lo liquida con due battute; una donna attende ore l’uomo che doveva accoglierla in stazione; due genitori si recano al cimitero sulla tomba del figlio morto in guerra; in un sottopassaggio della metro, un uomo senza gambe, con il mandolino intona “’O sole mio”. In questo film la disperazione che avvolge i protagonisti  funge da fil rouge alle diverse scene. I dialoghi sono ridotti al lumicino, e i movimenti di macchina aboliti. L’unica speranza (?) sono due innamorati, abbracciati, che, a differenza dei quadri colorati di Chagall, sbucano da un cielo plumbeo, solcato dalla nebbia.

Recensione pubblicata su Segnocinema N. 231 – settembre- ottobre  2021

 

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